Come si espande la paura e l’angoscia per il contagio di Coronavirus nelle carceri dell’ultima Regione italiana ma tra le prime per lo storico incombere di un più alto rischio criminale? Intuitivamente ma non solo basta parlare con le tante persone vicine ai detenuti, familiari, figli, volontari, educatori, guardie, forze dell'ordine per capire quanto grande e preoccupante sia diventato in queste ultime settimane, in Calabria e altrove, il dolore, la sofferenza e la rabbia, la preoccupazione divenuta con il passare dei giorni e delle notti confinante con l'ossessione, l'ansia collettiva, la “follia” personale ovunque, dentro e intorno, all’universo carcerario regionale.
di Vito Barresi
Lo avvertono, lo sentono a pelle, persino quanti abitano nei pressi delle varie Case Circondariali, la “Giuseppe Panzera” di Reggio, la prigione “Sergio Cosmai” di Cosenza, la Casa Circondariale di Paola, la “Filippo Salsone” di Palmi, il carcere di Arghillà di Reggio Calabria, la Casa Circondariale di Crotone, come negli altri cinque penitenziari calabresi (CC di Locri, Castrovillari, Vibo Valentia, Catanzaro e C.R. di Laureana di Borrello) dove da sempre vi sono problemi di sovraffollamento.
Quale sia stato l’effetto delle notizie sul Covid 19 nelle comunità carcerarie italiane è del tutto evidente nell’infernale racconto di quanto avvenuto nei penitenziari di Modena e Foggia.
Bisognava prepararsi in tempo rispetto anche al “sospetto” di una tragica ricaduta del rimbombo massmediale nel contesto restrittivo delle carceri. In qualche modo anticipare, prevenire, preparare, approntare un piano di intervento, un efficace deterrenza. Ma così non è stato.
La paura del virus si è propagata nelle carceri in maniera esponenziale e incontrollata, fino a trasformare la galera che è diventata una bomba esplosiva, posta nel cuore di una realtà sovraffollata e costitutivamente ad alto rischio sanitario e diffusivo.
Mantenere le distanze di sicurezza, stare almeno a un metro di distanza da un altro, convivendo una cella con più persone, sapere che uno starnuto può accendere una catena reattiva persino mortale, se ti trovi con uomini e donne afflitte da svariate patologie, apprendere che non vi saranno più contatti con il mondo esterno, dai famigliari ai volontari, significa perdere ogni punto di certezza e orientamento, trovarsi improvvisamente sospinto in una zona oscura dell’esistenza, catapultati in una narrazione da incubo che fa spavento e orrore.
È successo questo, ovunque, nei penitenziari anche in Calabria dove il virus è diventato violenza, caos mentale, sofferenza, solitudine, urlo irrazionale, incompreso e incomprensibile.
Scaturisce da questa assurda quanto aberrante condizione di rischio e paura che si è inaspettatamente disgelata davanti alla società italiana l’appello ragionato e serio della Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Ornella Favero, che con dati alla mano sollecita una rapida presa di coscienza sulla priorità specifica del rischio carcerario in costante evoluzione:
“Ci sono in carcere 8682 persone detenute con meno di un anno di residuo pena, 8146 persone detenute con da uno a due anni di residuo pena, persone quindi destinate ad uscire presto. Sono persone che non devono intasare le carceri e rendere ancora più difficile affrontare l’emergenza sovraffollamento e quella coronavirus. Quello che si può fare subito è creare le condizioni perché vengano concesse più misure alternative: quindi dove è possibile l’affidamento in prova ai servizi sociali, che è la misura più compiutamente efficace per il reinserimento delle persone detenute nella società e anche per la sicurezza della società stessa, e poi la detenzione domiciliare negli ultimi due anni della pena. A partire da tutte le persone anziane e dai malati, che devono essere al più presto rimandati a casa. E se non hanno dove andare, crediamo che la rete delle Comunità di accoglienza possa dare una mano a trovar loro una sistemazione dignitosa.”
La condizione carceraria, con il suo carico di angosciosa diseguaglianza umana, è il paradigma sociale, relazionale, collettivo e istituzionale di questa incredibile emergenza nazionale in cui, anche per colpe dovute alla sottovalutazione e alla superficialità di una casta politica, parlamentare, giudiziaria, economica, mediale ecc., totalmente irresponsabile, si trova l’Italia contemporanea.
Da questa pesante situazione di “sconfitta” occorre rapidamente estrarre il senso e il succo di una storica lezione morale, civile, politica, istituzionale, in un processo pubblico che coinvolga tutti noi gli italiani a ogni livello di nostre specifica responsabilità.