“Nessuno pensi di cancellare il 25 aprile. Quel giorno rappresenta la data fondativa dell'Italia democratica. La Resistenza fu una lotta di popolo che consentì di liberare il nostro paese dal giogo nazifascista. Il 25 aprile è la nostra festa nazionale”.
di Vito Barresi
Parole forti che scuotono, quelle di Carla Nespolo, prima donna e prima non partigiana presidente nazionale dell’Anpi, perché sgorgano dalla premura e dal presentimento che contraddistinguono le sentinelle della vita nazionale, i partigiani testimoni della durissima epopea della conquista della libertà, da un mondo fitto non solo di memorie e ricordi ma intriso di appassionata attualità, una sfera di partecipazione non di solo reduci ma di protagonisti della storia più che mai sensibili ai valori e ai sentimenti identitari del nostro popolo.
Mai previsione più reale, monito d’attualità nel primo dei giorni di festa nazionale in cui la vita pubblica e la partecipazione diretta è stata “sospesa” dall’emergenza terrorizzante della devastante epidemia Covid-19.
Quasi come settantacinque anni fa sale tacito e forte il canto partigiano…
“fischia il vento ed infuria la bufera, scarpe rotte e pur bisogna andar, a conquistare la rossa primavera dove sorge il sol dell’avvenir…”
Benvenuti nell’abbacinante e irreale deserto delle nostre feste nazionali in città desolate, senza cortei, senza comizi, senza inni né bandiere, dove quest’anno si celebrano i settantacinque anni della Liberazione dal nemico nazi-fascista.
Quella che sembrava soltanto una suggestione indefinibile, la percezione vaga di una sensazione che potesse accadere qualcosa anche nel giorno della Festa della Liberazione, cade realmente e pesantemente come un fulmine distruttore sul senso e sul significato del 25 aprile 1945, a settantacinque anni di distanza, in questo inaspettato e difficile primo quadrimestre di un memorabile anno di disgrazia com’è il 2020.
Più che mai viene da interrogarsi davanti al giorno che più degli altri ha valore memoriale di fonte e origine della vita democratica e repubblicana della Nazione sul “perché le feste” nazionali servono ancora più che mai, durante e dopo la dolorosa, impegnativa, stremante epidemia di Coronavirus che ha letteralmente cambiato il volto del paese lasciandolo pieno di segni e ferite che diverranno cicatrici indelebili nella comune memoria popolare?
Pensieri che riecheggeranno nel giorno stesso del “genetliaco” istituzionale della Repubblica, il giorno natale della democrazia italiana, il 25 Aprile Festa Nazionale della Liberazione, interrogativi che dovrebbero aiutarci ad affrontare lo choc culturale in atto.
Tempo delle feste religiose, civiche, politiche e tempo di tragica epidemia del Coronavirus. Uno scenario iperreale che si apre come un baratro nella memoria di fronte agli italiani.
Un popolo sconcertato, impaurito, in ansia e apprensione per l’immediato futuro, che trepida davanti a chi paventa lo sgretolarsi dei monumenti della coesione nazionale, i simboli ancora utili e necessari attraverso i quali è possibile ricostruire l’identità e la memoria civile di una nazione affrontando le imprevedibili trasformazioni di questa crisi enorme e profonda.
Come fare altrimenti a prendere coscienza di quanto sta accadendo senza neanche le feste nazionali?
Come affrontare la ripartenza, la ripresa, persino la riconversione del sistema Italia se non attingendo anche al capitale immateriale delle idee, delle narrazioni, della eredità morale, umana, politica e culturale della Resistenza che ora si rinnova nella resilienza dimostrata in ogni ceto, classe e gruppo della società italiana?
Piuttosto le feste servono ad avere coscienza del dramma attuale attraversato dal Paese, il grande disastro della pandemia attraverso una rilettura critica non solo dell’epopea della resistenza ma dell’intera storia repubblicana per farci carico ovunque e in prima persona della situazione attraverso la partecipazione, l’impegno pubblico e democratico, lo studio e l’azione politica.
Prendendo atto che siamo tutti chiamati ad affrontare una crisi morale, culturale, politica, sociale ed economica inedita e complicatissima.
Alla conclusione di questo drammatico combattimento sul campo che ha impegnato tutti gli italiani di ogni classe e ceto sociale, di ogni appartenenza religiosa e politica, di ogni città e regione, territorio e località, “uniti ma distanti” nell’arginare e sconfiggere il subdolo “attacco” di un virus che ha colpito il sistema di salvaguardia e di difesa civile del Paese con effetti mortali e distruttivi, sarà necessario comprendere i problemi nuovi insorti da tale evento traumatico in termini di identità, coesione sociale e memoria collettiva dell'Italia intera.