Il Covid e il baratro del fallimento: l’esempio Obama e la perseveranza sciocca dell’Europa

20 aprile 2020, 14:05 Opinioni&Contributi
Barack Obama e Angela Merkel

L’accordo raggiunto nella serata del 9 Aprile scorso dall’Eurogruppo ha generato un panico diffuso, propagatosi con la velocità che solo il mondo dei social, ormai Parlamenti virtuali, può sostenere e che mal si conciliano con le tempistiche necessarie per una più approfondita conoscenza dei fatti. Il tutto, aggravato da una psicotica corsa alla critica e al “giustizialismo” politico ma senza una “Corte Suprema” in grado di emettere sentenze esemplari ed inappellabili.


di Alessio Critelli

Bisogna premettere che l’accordo raggiunto dai Ministri delle finanze degli Stati membri, ha il solo scopo di indirizzare la discussione del Consiglio Europeo, presieduto dai Capi di Stato e di Governo, ai quali spetta la ratifica definitiva dell’accordo, le modalità di erogazione degli aiuti e le condizionalità di rientro del prestito.

Nessun Paese europeo, ad oggi, ha ratificato o accettato una qualsivoglia forma di accordo o di aiuto economico, si chiami esso Coronabond, Mes, Eurobond, etc. Quello che è certo, e per nulla scontato, viste le premesse, è una manovra europea da 1000 miliardi di euro.

La discussione, come sappiamo, si è incentrata sui fondi da cui attingere queste risorse e che ha portato, purtroppo, ad una ennesima divisione dell’Europa che a definirla Unione si fa fatica.

L’Eurogruppo ha individuato tre fonti primarie: il SURE per il sostegno della cassa di integrazione, la BEI (Banca europea per gli investimenti) e il famigerato MES (Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria). E proprio l’utilizzo del MES ha provocato una bipartizione del vecchio continente.

I Paesi più ortodossi, come Germania e Olanda, vorrebbero un utilizzo del MES così come, oggi, è strutturato. Questo ha generato le critiche e l’opposizione dei Paesi che maggiormente hanno subito l’orda del Covid-19 come Italia, Francia e Spagna, preoccupati non dalla dotazione economica del fondo, quanto dalle condizionalità di rientro del debito contratto che obbligherebbero i Paesi creditori a politiche di austerity che mal si concilierebbero con qualsiasi obiettivo di crescita economica soprattutto in una fase di crisi come quella attuale.

Di contro, la proposta lanciata da Parigi, e sostenuta da Italia e Spagna, è quella del Recovery Fund, un fondo finanziato da titoli in comune del valore di 500 miliardi di euro.

C’è da dire che un rifiuto delle proposte dei Paesi “mediterranei” e una conferma del MES nella sua struttura originaria, eccetto per le spese sanitarie dirette e indirette, limiterebbe notevolmente la possibilità di attingere agli aiuti comunitari giacché, il ricorso al Mes, è arbitrario e a discrezione dei Paesi richiedenti.

In tal senso, il Premier Conte si è già espresso, con tono severo, su una possibile richiesta di accesso al fondo. Spetterà ai Capi di Stato, come già detto, qualsiasi decisione e accordo che richiederà, comunque, un passaggio nei rispettivi Parlamenti per il varo della manovra proposta dal Governo.

In attesa che il Consiglio Europeo si riunisca e decida sul futuro di questa crisi, è evidente che l’Unione europea si trova difronte ad un bivio.

Le diverse vedute, frutto di una evidente parzialità rispetto ad un progetto comune, ma anche rispetto ad un passato recente, rischiano di far capitolare l’Europa nel baratro del fallimento. E che fallimento!


Dal “debito di Londra” alla

“politica dei due tempi” di Obama


Si potrebbe rievocare l’accordo sul “debito di Londra”, firmato nel febbraio del 1953, con il quale veniva cancellato circa il 50% del debito contratto dalla Germania durante il secondo conflitto mondiale.

Ma ancor più significativa è la crisi economica che ha interessato tutto il mondo nel 2008, la crisi dei mutui “sub-prime originatasi negli Stati Uniti.

La bolla speculativa scoppiata a Wall Street e il fallimento di importanti Istituti di credito ha portato al collasso dell’economia mondiale.

Le maggiori potenze industriali si mobilitarono per limitare i danni e ridare impulso vitale alle proprie economie. Le strategie e le “curemesse in campo dai diversi poli economici hanno prodotto un mondo a tre velocità, come emerso dal rapporto del Fondo monetario internazionale pubblicato nell’Aprile del 2013.

Negli Stati Uniti, Barack Obama, eletto da poco, diede vita ad una straordinaria manovra espansiva, attuando la “politica dei due tempi”, in sinergia con la Federal Reserve.

Nel gennaio 2009, infatti, venne approvato un piano di investimenti pubblici da 800 miliardi di dollari. Contestualmente, Ben Bernanke - allora Presidente della Fed - sperimentò una politica monetaria innovativa, ribattezzata come “quantitative easing”.

Nel triennio 2010-2012, la Fed acquistò oltre 2.300 miliardi di dollari tra Bond del Tesoro e obbligazioni di imprese e istituti di credito immettendo, sul mercato, una smisurata quantità di liquidità e favorendo l’accesso a prestiti da parte di imprese e famiglie.

Nel 2012 gli Stati Uniti producevanonuovi occupati con il ritmo di 150 mila unità al mese, con una crescita del Pil del 3,1%.

Il principio che sorresse la politica dei due tempi di Obama fu semplice.

Alla depressione economica, la risposta più esaustiva consistette in una prima fase di politiche espansive (Obama permise che il rapporto Deficit/Pil salisse sino al 12%) per ravvivare il tessuto produttivo e generare milioni di posti di lavoro e, una seconda fase, per il risanamento dei conti pubblici, ripartendo l’onere su una platea fiscale più ampia.


La politica di austerity

made in Deutschland


Alla crisi del 2008 l’Europa, invece, rispose con la convinzione, made in Germany, della necessità di un liberismo puritano, una politica di Austerity che lega la crescita economica di un Paese ad una attenzione ai conti pubblici.

Un’assurdità, come confermato dai risultati, in un periodo di straordinaria crisi economica e di incontrollata emorragia occupazionale che ha imbrigliato la crescita europea, ben distante dalle competitor d’oltre oceano.

E mentre gli Stati Uniti - e i poli asiatici - crescevano a ritmi straordinari, l’Europa rimaneva indietro e anche il tentativo di Mario Draghi, allora Presidente della Bce, nella sua politica di emulazione del collega Bernanke, non ebbe i risultati sperati, giacché la liquidità emessa dalla Bce andònelle casse delle banche ma lì vi rimase.

Non ne fu toccata, invece, come avvenne negli Usa, l’economia reale, quella dei prestiti a tassi agevolati alle imprese, quella dei mutui per la prima casa, quella dei prestiti per l’acquisto di una automobile.

Una strategia sconfessata da tutti gli indici economici e di benessere che ha prodotto una disuguaglianza crescente tra i Paesi membri e favorito una torva e disordinata avanzata di forze populiste e sovraniste e loro comprimari.

Perseverare nelle logiche del passato sarebbe diabolicamente sciocco e porrebbe una pietra tombale sul progetto europeo e un europeista, “consapevolmente critico”, come il sottoscritto, non potrebbe far altro che prenderne atto.

La speranza, flebile ma ancora viva, è quella di essere smentito.