Il cinismo istituzionale di garrulli Governatori seduti di traverso sui binari dei Treni del Sud

24 aprile 2020, 15:30 Politica.24

Attenzione a travisare l’igiene pubblica in una sorta di neopensiero involutivo dell‘igiene politica d’urgenza e necessità. Ogni tipo di ghettizzazione geografica e socio sanitaria costituisce, in via generale e di principio, un pericolo prodromico a forme più turpi e sgradevoli di internamento e concentramento ai danni di occasionali gruppi di minoranza, di transumanza umana, circolazione e mobilità che potrebbero anche inquinare e minacciare pesantemente la stessa prospettiva di ripresa di una nazione ferita, colpita ma non ancora affondata come l’Italia.


di Giovanna Fichera e Vito Barresi

Non si farebbe fatica, purtroppo, a scorgere nei segni devastanti che l’epidemia di Sars Cov 2 sta lasciando sulla Calabria e sul Mezzogiorno, purtroppo tutti narrati nel dipanarsi incredibile e sconcertante della vicenda, discutibile e controversa in termini di vere responsabilità, del rientro nella propria terra di tanti meridionali costretti, loro malgrado, a non potersi ricongiungere con le famiglie e le loro realtà comunali d’origine, una minaccia e una preoccupazione di possibili discriminazioni e ulteriori disparità, tanto virulente da emergere nell’immediata ripresa della Fase 2.

In un sempre più inarrestabile “cinismo istituzionale” tutto sembra coincidere pericolosamente con l’avvio stentato, confuso e oscuro di un nuovo governo regionale guidato dal centro destra di marca berlusconiana, la cui direzione potrebbe cristallizzarsi in un sempre più inquietante e ostile disprezzo verso i bisogni e le esigenze, persino le sofferenze, di ampie masse popolari messe ancor di più ai margini della vita economica e sociale dagli effetti della pandemia.

L’atteggiamento di alcuni vecchi e nuovi politici che ostentano un cinismo mediatico stucchevole, posticcio e fuori luogo per le stesse loro dimensioni umane sia private che personali, si presenta agli occhi stupiti e disorientati dell’opinione pubblica regionale e nazionale come la degradazione comica e immorale del ben noto “darwinismo sociale” nei rapporti economici e nelle relazioni comunitarie.

Concretamente un tale cinismo, che sembra la cifra perdurante e distintiva di un ceto politico calabrese, apparentemente asettico e amorale, dunque relativistico, altro non sarebbe che l'evidente espressione di una reale ignoranza dei veri termini della questione politica e sociale, una palese incapacità a maneggiare con competenza gli strumenti del potere costituzionale, di esercitare la prassi del buon governo e della sana amministrazione diretta.

La vicenda dei calabresi “fuori sede” che anelano un giusto, legittimo e sicuro ritorno senza impedimenti e infingimenti da azzeccagarbugli, è un problema prima di tutto politico, e per questo ancor più grave poiché si sostanza in decisioni, decreti, ordinanze, sanzioni, multe e quant’altro, molte volte assunte senza i necessari controlli, con garrulla nonchalance, da pubblici rappresentanti delle istituzioni regionali e statali, un fatto che evidenzia, ove ce ne fosse ancora ulteriore bisogno, quanto sia ormai ampia la distanza percettiva e mentale tra “società civile” e casta della politica, gerarchizzazione e concentrazione di alcuni poteri statali particolarmente delicati e sensibili.

La tracotante e dichiarata ostilità al rientro, nelle forme precauzionale e compatibili, di centinaia di cittadini calabresi e meridionali, è l'espressione lampante di quanto nella contingenza dell'epidemia siano tornati a riemergere, prepotentemente, gravi e preoccupanti momenti di “distanziamento”, forte e reale, tra il sentire della società e le smanie populiste e decisioniste di certa politica, tra poteri più forti e concentrati dello stato apparato e le istanze collettive, spesso ruvidamente obliterate, negate e represse, e per questo, paradossalmente svilite e oltraggiate.

Necessità vere e non immaginarie che sono emerse giorno per giorno nella cronaca di una feroce epidemia, un contagio virulento che ha massacrato affetti, sentimenti, economia, relazioni, legami familiari e amicali, fino a sanzionare persino la sfera intangibile del sacro e della libertà spirituale, a partire dal divieto struggente e opinabile delle cerimonie funebri di addio ai propri cari, per non accennare alla semplice fruizione dei servizi religiosi più semplificati come la preghiera, la santa messa o la devozione popolare.

Intere classi sociali e fasce d’età vulnerabili e deboli, sono state crudamente sottoposte a “diktat” e scelte di vita e di libertà personale, in base al discutibile e spesso non sostanziato assunto secondo cui in tempo d’emergenza tutte le grandi decisioni sono concentrate nelle mani di una ben definita e ristretta “oligarchia di dotti, medici e sapienti, un ristrettissimo gruppo di potere che sta agendo oltre il limite costituzionale e senza né il controllo né la ratifica del Parlamento.

Scelte e decisioni che devono essere non esortativamente ma categoricamente e d’imperio accettate ed eseguite, piuttosto con rassegnazione che non invece con il convinto coinvolgimento della causa comune.

Per cui impegnarsi insieme, non distanti ma uniti e solidali, per salvare quel che resta di una martoriata Italia che ha subito diecine e diecine di migliaia di morti per l’inadeguatezza, l’inefficienza del sistema di tutela, sorveglianza e salvaguardia della salute e sanità pubblica, sta diventanto molto complicato.