Dovete annà a lavorà! Capito, dovete annà a lavorà, dovemo tutti lavorà... Sembra di risentirlo ancora una volta il ritornello in cuffia della popolare nenia romanesca di Paolo Panelli nel film di Sergio Corbucci magistralmente interpretato da uno smagliante Enrico Montesano nei panni del Conte Tacchia, all’epoca Adriano Bennicelli, nobile romano, rampollo di una famiglia che si era arricchita con il commercio del legno, popolarmente conosciuta con il nomignolo di “Tacchia”, ciò che in dialetto a Roma sta per zeppa, colui che nel 1910 si candidò deputato ma senza risultare nonostante i suoi 83 voti su 2694 votanti.
di Vito Barresi
Il sottofondo che rimorde rispetto al passato nel mentre un altro Conte in tv pure convince ancora il 54 per cento degli italiani elettori, che lo ascoltano declamare avvolto nel drappeggio di un’ibrida bandiera tricolore a cinque stelle, a cui manca solo la falce e martello di stampo cinese, illudendosi che sarà lui quello che metterà un’altra zeppa all’edificio che sta franando sotto i piedi anche di tutti, tranne che di ricchi e potenti, stipendiati e protetti, che resistono vincenti e intatti dopo aver passato, quasi indenni, una tragica, confusa e distruttiva Fase 1.
E mentre pregustano il rientro alla normalità nell’illusione che la Fase 2 sarà il preludio di un ritorno alla dolce vita italiana sulle spiagge di Torvajanica, alla belle epoque della Milano da bere lungo i vialetti dei Navigli, alla neghittosa e sensuale atmosfera di Roma Ladrona più o meno a Campo de Fiori, quel monito che Sor Panelli rivolge al piccolo Conte Tacchia era e resta lo schietto preavviso agli italiani di aprire gli occhi davanti allo spettacolo impietoso di un vero e proprio naufragio della nazione.
Un gigantesco disastro su cui almeno il 46 per cento dei cittadini comincia a chiedersi se sia stato realmente causato dal virus delle polmonite cinese o dal virus più radicato e cronico dell’opportunismo della “classe” politica italiana.
Quelli che un tempo si chiamavano i garantiti escono ancora una volta solidi e tranquilli (lo dice anche il solitario ma a suo modo “profetico” Matteo Renzi in un passaggio sul tg di Rete 4) dalla Fase 1 di un’assurda pandemia in cui il virus non solo ha distrutto ma sembra aver capito e assecondato lo spirito di adattamento e di mimetismo tipico di ogni casta di potere e specialmente della politica italiana.
Pagati puntualmente ogni mese nonostante non abbiano lavorato da più mesi. Per loro il virus non ha avuto alcun effetto economico negativo, anzi per certi versi con la riduzione dei consumi ha aumentato il risparmio pro capite.
Solo loro hanno continuano a ricevere lo stipendio erogato dallo Stato senza alcuna riduzione godendo anche dei benefici di un allarme generale e istituzionale che li ha protetti dal contagio e dalla malattia con la chiusura di uffici pubblici, scuole, università, istituzioni di vario tipo, ecc. Per difendere queste categorie protette è stato persino impedita la libera circolazione dei cittadini.
Per tutte le altre categorie professionali, artigiane, di mestiere e di commercio, il Governo e lo Stato se ne sono lavate le mani, lasciando ogni professionista ed esercente solo davanti al contagio e alla pandemia, senza alcun aiuto se non quello della più cruda repressione esercitata con multe, sanzioni e ogni genere di penosa limitazione.
Fase 1 che va verso un suo “innaturale” e spettrale, pesantissimo bilancio conclusivo. Nel mentre si profila una Fase 2 senza alcuna vera novità di politica economica, di “progettualità” finanziaria e di bilancio, priva di qualsiasi visione concreta e costruttiva di gestione della crisi del sistema italiano, nell’assenza di un vero piano operativo per far fronte ai danni provocati dai grandi rischi per la comunità nazionale (oltre al virus se ne annoverano anche altri tra cui il rischio sismico, ecc.), nella desolante constatazione di una totale carenza di genialità e competenza di governo, una spinta creativa e innovativa per individuare e attivare adeguati strumenti macroeconomici, finalizzati all’immediato risarcimento dei reali danneggiati, soluzioni per indennizzare in tempo compatibile ceti produttivi e classi sociali soccombenti.
Aspettando un’estate di fuoco, non solo metereologico ma anche economico e sociale, siamo di fronte alle macerie della storia italiana degli ultimi venti anni. Tutto è praticamente se non crollato minacciosamente lesionato.
L’unica “tacchia” è, purtroppo quella di Conte, la proposta praticata sospendendo la partita collettiva, le messe, le celebrazioni delle feste nazionali, rinchiudendo in casa oltre cinquanta milioni di cittadini, cioè accontentarsi di una mancia una tantum, neanche per tutti i perdenti, sotto forma di un'universalizzazione del reddito di cittadinanza, il formato post moderno dell’antico buono della povertà.
E non è un gran bel consuntivo trimestrale. Di un’ancora incomprensibile e mal dissimulata “emergenza nazionale”.