Smascherate le False Mascherine Cinesi vendute in Italia tra alti profitti ed emergenza Covid

Ti conosco, Mascherina, recitava il titolo di un famoso film con Peppino, Eduardo e Titina De Filippo. Era il 1944, anno dell'Italia in guerra, dopo l'8 settembre del '43, distruzione e macerie del regime fascista. Tutto nel quadro di un'economia attraversata da pescecani di vario genere che lucravano ingenti profitti dal mercato clandestino e della borsa nera. Sembra ieri ma è oggi, con certi parallelismi, evidenti somiglianze, tipo quelle tra Pratiche commerciali illecite e disoneste e COVID-19.


di Yang Jianli e Aaron Rhodes*

La Cina «dona», ma più spesso vende, milioni di mascherine e forniture sanitarie in tutto il mondo, ma molti prodotti sono difettosi. Ovunque in Europa i governi devono fronteggiare l’epidemia di Covid-19 ma al tempo stesso sono costretti a respingere gli aiuti cinesi, compresa la fornitura di attrezzature medicali, mascherine e altri articoli sanitari. Nel complesso tutti si stanno rivoltando contro la Cina.

Ciò non sorprende affatto considerando il comportamento che la Cina ha tenuto nei confronti degli altri Paesi nel corso dell’epidemia. Secondo rapporti verificati provenienti da Spagna, Turchia e Paesi Bassi migliaia di kit diagnostici e mascherine chirurgiche cinesi si sono rivelate non conformi agli standard o comunque difettosi. La Cina è inoltre accusata di aver acquistato in segreto enormi quantità di apparecchiature medicali in Europa e di rivenderle ora ad alcuni Paesi come forma di aiuto.

Recentemente, i governi di Spagna e Repubblica Ceca si sono anche lamentati del fatto che dapprima la Cina ha segretamente acquistato da loro ingenti quantità di attrezzature mediche e poi ha fornito e venduto attrezzature medicali difettose sotto forma di «aiuti umanitari». I Paesi a cui la Cina ha consegnato le proprie forniture comprendono Italia, Francia, Grecia, Serbia, Spagna, Pakistan, Laos, Tailandia, Iran, Corea del Sud, Giappone, Cambogia, Filippine, Egitto, Sudafrica, Iraq, Etiopia, Kazakistan, Bielorussia, Cuba e Cile.


Repubblica ceca:

il sindaco di Praga

reagisce


La Repubblica Ceca è uno dei numerosi Paesi europei che, nei primi mesi dell’anno, hanno ricevuto kit diagnostici e altre forniture sanitarie dalla Cina. Tuttavia, come recentemente osservato dal sindaco di Praga Zdenek Hrib. «Non si è trattato di un dono o un aiuto umanitario. Per la Cina si tratta solo di affari». In effetti il modello di comportamento sotto i nostri occhi suggerisce che, ovunque nel mondo, la Cina stia sfruttando l’epidemia di Coronavirus e le sue conseguenze.

La Cina ha fatto rilevanti investimenti in Europa facendosi molti amici, tra cui il presidente della Repubblica ceca, Milos Zeman. Tuttavia, Hrib rappresenta quella parte della politica ceca ed europea scettica rispetto alle promesse cinesi, ai suoi obiettivi strategici e alle sue tattiche aggressive. Da quando più di due anni orsono è diventato sindaco di Praga, Hrib ha ripetutamente infastidito la Cina incontrando dissidenti tibetani. Ha criticato il trattamento delle minoranze etniche cinesi e ha promosso legami con Taiwan. La Cina ha usato la propria influenza diplomatica e finanziaria per protestare contro le mosse di Hrib e, quando Praga ha stretto una partnership con Taiwan, l’amministrazione di Shanghai ha reciso i legami economici con la capitale Ceca.

In Europa le ricadute politiche delle avventure commerciali cinesi legate al coronavirus sono la conseguenza del tentativo di fornire ad altri Paesi apparecchiature medicali difettose. Alcune settimane fa, nel mezzo della pandemia di coronavirus, le autorità ceche hanno confiscato un carico di forniture sanitarie che un rivenditore ceco tentava di rivendere al governo a un prezzo eccessivo. I beni sequestrati erano etichettati come aiuti umanitari della Croce Rossa cinese per l’Italia e contenevano 680mila mascherine facciali, 28mila respiratori e circa 100mila maschere. Nel corso delle indagini, la polizia ha scoperto che il magazzino in cui i beni erano stoccati apparteneva a Zhou Lingjian, un influente cinese residente a Praga. È interessante notare che Zhou è comproprietario della società CTE CARGO Sped collegata alla CTE International, che ha venduto 580mila mascherine a una società di comodo ceca e che controlla la Czech Qingtian Hometown Association. La società gestisce anche il Chinese Times ovvero il più importante media della diaspora cinese a Praga.


Altre attività

commerciali sospette

nel Regno Unito

e in Turchia


Successivamente in marzo si è scoperto che le forniture mediche umanitarie della Cina alla Repubblica Ceca erano difettose. L’80 percento dei kit diagnostici per il coronavirus forniscono risultati falsi e per lo più falsi negativi. Anche in Turchia si è scoperto che i kit cinesi sono scadenti e che hanno un tasso di fallimento che va dal 65 al 70 percento. La Spagna ha lamentato che l’80 percento delle forniture medicali provenienti dalla Cina sono risultate difettose.

I media britannici hanno anche accusato il regime comunista cinese di trarre profitto dalla crisi. È emerso che la Cina, sequestrando rilevanti quantità di dispositivi di protezione individuale (DPI) prodotti in loco per l’esportazione, ha contribuito alla carenza di DPI. Per esempio i due stabilimenti cinesi di proprietà della società britannica produttrice di dispositivi di protezione individuali JSP Ltd. sono stati «requisiti» dal governo per produrre RPE – apparecchi per la protezione respiratoria – usa e getta per le agenzie governative cinesi.


Australia:

le forniture mediche

finiscono in Cina


Secondo una newsletter aziendale di cui il Sydney Morning Herald è venuto in possesso, gli uffici all’estero del Greenland Group, una società immobiliare australiana controllata dal governo cinese, hanno acquistato tre milioni di mascherine, 700mila tute ignifughe e 500mila paia di guanti al fine «contribuire agli sforzi per mitigare la diffusione del virus che aveva causato una carenza di forniture medicali cruciali in Cina».

Secondo un rapporto dell’Herald, il Greenland Group, che gestisce immobili di fascia alta a Sydney e Melbourne, ha prosciugato le forniture australiane di dispositivi anti-coronavirus. Tre milioni di maschere chirurgiche, 500mila paia di guanti e grandi quantità di disinfettante e salviette sono stati acquistati in Australia e in altri Paesi dove il Greenland Group opera.

Questi acquisti all’ingrosso erano perfettamente legittimi, tuttavia le merci spedite massivamente in Cina comprendevano prodotti sanitari che erano scarsi per i cittadini australiani e per i loro sanitari. Analogamente in gennaio l’agenzia di controspionaggio della Repubblica Ceca ha riferito che l’ambasciata cinese a Praga aveva organizzato gli interessi cinesi nel Paese per l’acquisto di enormi quantità di materiale medico ceco che è stato immediatamente spedito in Cina.


Spagna:

attrezzature

difettose


In alcune occasioni i rappresentanti cinesi sono stati costretti ad ammettere di aver fornito attrezzature difettose, ma ne hanno attribuito la responsabilità alla ditta produttrice. Per esempio, il 26 marzo l’ambasciata cinese a Madrid ha dichiarato che il governo spagnolo aveva acquistato un lotto di kit diagnostici per il COVID-19 difettosi da una società senza licenza nota come Shenzhen Bioeasy Biotechnology. In un tweet, l’ambasciata cinese ha dichiarato: «il ministero del Commercio cinese aveva fornito alla Spagna un elenco di fornitori certificati che non comprendeva la Shenzhen Bioeasy Biotechnology in quanto tale azienda non ha ancora ottenuto la licenza per vendere i suoi prodotti dalla Chinese National Medical Products Administration». Nella dichiarazione si precisava che tale fornitura non era compresa nel contratto con la Cina annunciato il 25 marzo dal governo spagnolo. Detto accordo commerciale, a fronte di un esborso di 432 milioni di euro (466 milioni di dollari statunitensi), comprendeva anche la fornitura di 5,5 milioni di kit diagnostici.

È inoltre emerso chiaramente che gli sforzi della Spagna per utilizzare i 640mila kit diagnostici rapidi acquistati da aziende in Cina e Corea del Sud hanno subito una battuta d’arresto quando il primo ordine di circa 9mila unità non è risultato conforme alle specifiche tecniche e ha dovuto essere respinto. Il responsabile del Dipartimento per l’emergenza sanitaria spagnolo, Fernando Simon, ha confermato che il primo lotto di kit consegnato alla Spagna è stato rispedito al fornitore.


Nepal:

«Non utilizzare

prodotti cinesi»


Anche in Asia meridionale, un Paese come il Nepal ha consigliato ai propri ospedali e centri medici di non utilizzare kit diagnostici e attrezzature mediche cinesi, a meno che non venga espressamente chiesto loro dal governo. I rapporti indicano che in febbraio il Nepal ha importato dalla Cina kit diagnostici per un controvalore di milioni di rupie nepalesi. Secondo quanto riferito dai media nepalesi il dott. Khem Karki, consigliere del ministro della sanità, ha affermato che, a causa di numerosi rapporti circa la loro inaffidabilità, a tutti gli ospedali è stato chiesto di non utilizzare i kit diagnostici cinesi a meno che non vengano espressamente invitati a farlo dal governo.

I kit sono stati importati da Omni Group, che ha stipulato un contratto per l’acquisto in Cina di 75mila kit diagnostici rapidi per un controvalore di 60 milioni di rupie nepalesi con il ministero della Salute e popolazione del Nepal. Un charter della Nepal Airlines é volato in Cina per caricare il materiale sanitario che comprendeva anche l’assistenza medica fornita dalla Jack Ma Foundation e da Alibaba. Per accertare la presenza di COVID-19 o infezione da Corona Virus il Nepal utilizza il metodo della reazione a catena della polimerasi (RCP) che in 24 ore fornisce il risultato.

Atteggiandosi a leader mondiale, il governo cinese ha chiaramente tentato di trasformare una crisi sanitaria globale, peraltro causata dalla propria negligenza e dalla soppressione delle informazioni gestita dalle pubbliche relazioni, nella prova del suo superiore sistema di gestione pubblica e sistema politico. La Cina ha tentato disperatamente di accreditare questa immagine vendendo dispositivi PPF per evitare il tracollo delle proprie esportazioni. Pochi nella comunità internazionale stanno acquistando i primi e molti hanno perplessità sulle esportazioni cinesi in generale. Il cinismo dimostrato dalla Cina per trarre profitto dal Coronavirus non basta a salvare la sua reputazione.


*Yang Jianli è fondatore e presidente di Citizen Power Initiatives for Cina

Articolo apparso su Bitter Winter, periodico online sulla libertà religiosa e sui diritti umani in Cina