“Tristezza per favore va via, tanto tu in casa mia no, non entrerai mai, c'è tanta gente che ha bisogno di soffrire e che ogni giorno piange un pò, invece Ornella vuole vivere e cantare, e devo dirti di no…”. Sarebbe inutile tentare di dimenticare. Per molto tempo ancora nel Nord del Paese non si potrà far finta di constatare e ammettere che gli equilibri della vita sociale ed economica saranno profondamente, radicalmente diversi rispetto al passato.
di Vito Barresi
Ma per quanto all’esterno si tornerà a intonare, nel cuore collettivo che ancora batte ovunque nel Settentrione, il ritmo brasiliano della Vanoni, il mondo interno di quel che è stata la vecchia locomotiva del Paese, le città padane bellissime, rapsodiche, metropolitane, araldiche, economicamente potenti, produttivamente invincibili, calcisticamente imbattibili, resterà a lungo plumbeo, solitario, triste, ferito a morte negli affetti vitali, nell’orgoglio guascone dei bauscia, desolato, impaurito come un “barbon” che ha perso la strada lungo vicoli attorno al Duomo e i viali dei Navigli chiusi.
Chiusi in un disperato realismo dei fatti, i testimoni e i reduci di una durissima battaglia, racconteranno la tragedia di un popolo che non ha un altro Manzoni, qualcuno capace di indicare la via ai lombardi sgomenti per slegarsi, immediatamente, oggi, domani, chissà, dai leghisti che sono ancora la peste politica della loro più recente e confusa storia padana.
La gente è stata prima narcotizzata e poi avvelenata dall’ampolla profana del Salvinismo. Lo stesso credo ideologico che ha generato i Fontana e gli Zaia, i Bossi e i Maroni, quelli che hanno mandato la sanità allo sbaraglio, mettendo davanti al rischio immane i medici, gli infermieri, le comunità locali, gli operatori della protezione civile, tutti catapultati sul fronte ospedaliero della guerra all’epidemia di Sars Cov2.
Ci sarà sicuramente la produzione, le riprese e un montaggio, di più di un docu-film che racconterà in immagini il dipanarsi allucinante di un vissuto che non abbiamo realmente visto sui media del potere di governo e dell’opposizione.
Un’opera cinematografica già annunciata da qualche cineasta di grido che potrebbe a ben vedere aprirsi sullo schermo citando la pittura, la grande arte del Novecento, quella che ha parlato al Paese quando era difficile ascoltare persino il monito di un passato/presente che narrava alla storia due guerre mondiali tremende e micidiali.
Lo spessore della tristezza sgomenta l’anima, scuote l’armonia equilibrata della spiritualità. E al pari di una freccia acuminata arriva persino all’orecchio del Papa che si raccoglie in preghiera “per tutte le persone che soffrono la tristezza, perché sono sole o perché non sanno quale futuro le aspetta o perché non possono portare avanti la famiglia perché non hanno soldi, perché non hanno lavoro. Tanta gente che soffre la tristezza”.
Un vero e proprio scandalo
che dura ormai da tre mesi.
Una crisi sanitaria
cominciata in ritardo.
Una gestione dell’epidemia
senza partecipazione
Renzo Vespignani, lasciò sui suoi piccoli fogli, paesaggi di periferia romana, le rovine della città eterna dopo i bombardamenti, il volto di un’Italia devastata dalla guerra tra il ‘44 e il ‘48, un vero e proprio documento di una società disarticolata, complicata, smarrita comunque intenzionata a reinventarsi, ritrovarsi nel pane quotidiano, costruire palazzi e palazzine del domani, trasformare le negatività di una catastrofe in una riserva di speranza per un avvenire positivo.
Con la potenza artistica che ha contraddistinto la sua arte, nel suo straordinario dipinto intitolato “La Borghesia di fronte all’orrore”, concentrò in una sola immagine l’eternità dell’incomprensione, proiettandola nella dimensione razionale della certezza di una fine, la scomparsa di un mondo.
Un vero e proprio scandalo che dura ormai da tre mesi. Una crisi sanitaria cominciata in ritardo. Una gestione dell’epidemia senza partecipazione e per questo affetta da una subdola mutazione del post politico, con una sua modulazione accentratrice, un gioco al rimpallo delle responsabilità, un’impostazione normativa malamente inclusivista, molta mediaticità, con deragliamenti martellanti della informazione, con depistaggi evidenti ai danni del controllo e della vigilanza critica da parte della pubblica opinione.
Scandagliare il tetro silenzio delle figure colpite e coinvolte significa riflettere e apprendere quale sia oggi l’ideologia della borghesia italiana ed europea di fronte all’orrore che essa stessa ha determinato, un passaggio più che mai indispensabile per testimoniare, scuotere, commuovere senza cadere nel pozzo vuoto della rassegnazione e del fatalismo.
La Lombardia è il teatro della fine di un’epoca, di un mondo, non solo archeologia industriale ma ecatombe della tradizione culturale moderna dell’Italia del Nord.
La sua vecchia borghesia, quella classica che è riuscita a salvarsi tra la Brianza e la metropoli, ha visto morire un’intera generazione di coetanei negli alberghi storici del mutualismo e della carità, trasfigurati inavvertitamente in case spettrali prive persino dell’ultimo commiato.
Addio Borghesia del Nord. Al tuo funerale non ci saranno le corone di altre geografie confinate, e neanche quelle di chi ti ha sempre invocato, cercato, persino supplicato di ottenere aiuto, sostegno, sussidiarietà, salvezza.
La rovinosa caduta del Nord massacrato dal Coronovirus è adesso la progressiva manifestazione di scenari economicamente difficili per l’Italia. Specialmente per quell’altra faccia del settentrione che è il Mezzogiorno, dove il rischio di essere travolti da un prossimo periodo di selvaggio abbandono sembra imporsi nella prospettiva di un orizzonte chiuso.