I ragazzi della ‘Virus Generation’, la Giovane Italia tra scuole chiuse e ritorno nell’indistruttibile famiglia

11 maggio 2020, 11:00 100inWeb | di Vito Barresi

Non saranno quelli di via Pál, neanche i nostalgici compagni di scuola di Antonello Venditti. Ma forse per resistenza e ardore, e un’aggiunta di speranza nel loro futuro abbastanza incerto, magari si finirà per scoprire che questi vissuti giovanili durante la pandemia, apparentemente tanto distanti, sono alquanto somiglianti ad altri del passato.


di Vito Barresi

Storie di piccole donne e piccoli uomini, vicende d’amicizia e d’educazione sentimentale, racconti tra il nord e il sud di gruppi di teenagers in crescita travolti improvvisamente dalla “bad wawe”, l’onda cattiva di Covid-19, giovani che non si sono persi d’animo, pronti a dare il proprio contributo al volontariato.

Una generazione, che a differenza delle precedenti, nel ’68 e nel ’77, la crisi, lo scontro, la frattura tra un prima e un dopo, non è andata a cercarsela ma ha dovuto subirla dall’esterno. E ora dobbiamo tutti insieme comprendere con loro a quale prezzo e con quali conseguenze per l’uguale e giusta evoluzione di un’intera generazione dell’oggi e del domani.

Liberi sì ma non per tornare sui banchi di scuola su quelli delle università. Perché dove non era mai arrivato nessuno, nemmeno con l’immaginazione di Giovanni Papini esposta nel suo classico “Chiudete le Scuole” è riuscita l’epidemia di Covid 19, desertificando in un solo momento la più estesa rete di socializzazione, istruzione, formazione, addestramento, educazione, esistente da quasi due secoli nel Bel Paese.

Un colpo durissimo al sistema dell’istruzione pubblica, dagli asili nido all’università, che ha messo in dubbio un consolidato, e anche scontato, modello di scuola, famiglia, società, tutte strutture interattive e relazionali sconvolte da un evento che ha molte similitudini con un fatto totalizzante e destrutturante come la guerra.

Stiamo parlando di una “giovane Italia”, persone tra 0 e 24 anni, che pesa nella popolazione italiana per oltre 15 milioni di unità, gran parte delle quali, se non tutti, rimasti a casa in una lunga quarantena, un’intera generazione contemporanea relegata in un riposo coatto dalla paura dell’infezione e della malattia.

Infanzia, adolescenza e gioventù di questi sconvolgenti Anni Venti che, nel mentre si vedeva proiettata a crescere, socializzare e trovare la propria strada di sviluppo e inserimento, impegnati nel confronto quotidiano e graduale con la struttura sociale e l’ordine istituzionale, è adesso costretta a rimodulare ruoli e presenza all’interno della propria famiglia e della vita casalinga.

Sempre in movimento, pendolari della scuola e dell’università, gli studenti si sono fermati, costretti non solo al distanziamento ma addirittura al confinamento domiciliare.

E tutto è improvvisamente cambiato. A partire dal paesaggio urbano di città e paesi svuotati dalla linfa vitale di una generazione vivace, alla ricerca delle sue giuste misure relazionali, cardine della costruzione dei rapporti sociali e del confronto con gli altri, cioè quel mondo sempre più complesso che li circonda oltre la stessa scuola e la famiglia. Sono stati in “dolce prigionia”, più o meno dall’inizio di marzo, quasi una “novantena”.

Ma ora la “virus generation” tornata libera di circolare per le strade e uscire in compagnia, sebbene senza far festa ne bisboccia tra gelaterie e pasticcerie, distanziata secondo ordinanze, auto certificazioni, decreti su cui si accapigliano i soliti politicanti, pronti e felici di respirare l’aria della primavera, di godersi il tepore della bella stagione, le lunghe sgroppate per le strade di città piccole e grandi, le prime puntate in bicicletta verso il mare azzurro, deve fare i conti con problemi, ansie, limitazioni, profondi cambiamenti interiori ed esteriori.

Basterebbe solo pensare a tutte quelle cerimonie, prima fra tutte la festa dei 18 anni che segna l’ingresso nell’età adulta dei diritti a tutti gli effetti, compresa quella dei cosiddetti “100 giorni” all’esame di stato, dalla data del diploma o della maturità, titoli e riconoscimenti conclusivi di un lungo e impegnativo ciclo scolastico quinquennale delle superiori, che la pandemia ha letteralmente cancellato e travolto.

Questa frattura epocale sta già mettendo in dubbio molte cose acquisite, date troppo definitivamente per consolidate e indistruttibili.

Non illudiamoci con le solite menate del benefico e progressivo effetto che la crisi porterà sugli attuali assetti del sistema scolastico.

Anzi questo potrebbe essere un altro duro colpo alla scuola pubblica nazionale e al suo modello fin qui fortemente contraddittorio, sempre in bilico tra sfogo occupazionale e scarsa qualità della formazione scolastica.

La crisi del coronavirus potrebbe determinare una forte caduta e delegittimazione istituzionale della scuola spingendo le famiglie più ricche a cercare, come già fanno, per i propri figli soluzioni di carriera e di successo economico personale molto diverse da quelli della scuola tradizionale, relegata al mero compito di assicurare una generica alfabetizzazione, con un ritorno alla sola funzione di controllo sociale delle classi economicamente più svantaggiate.