Il comunicato come al solito è laconico, freddo, distante. Senza odore né sapore. Tanto da far sorridere amaramente per la sottile ironia del caso, una coincidenza mai come adesso che le regole si sbandierano con il tricolore, per cui è stato quasi un obbligo lavarsene le mani.
di Vito Barresi e Giovanna Fichera
La festa è finita, andate in pace ma ricordate, dispone il Commissario Straordinario, Sindaco di Crotone facente funzione, Tiziana Costantino, che “in occasione delle funzioni religiose legate alle Festività Mariane è stata disposta la proroga dell’istituzione del divieto di sosta e di fermata con rimozione coatta sull’intera Piazza Duomo, nonché di transito alla stessa piazza con la sola eccezione dei residenti fino al 31 maggio 2020”.
Nella Cattedrale di Crotone, di recente voluta Basilica Minore, c’è chi stringe tra le proprie mani, senza i guanti imposti dal coronavirus, la “coroncina” del rosario, la stessa che si sgrana nella “sabatina”, la pia pratica che quest’anno non si è potuta svolgere a causa dell’infuriare epidemico, oltre trentaduemila vittime, i tamponi, i contagi.
Una preghiera collettiva, maggiormente femminile, che da oltre un secolo è un pilastro della fede Mariana, quella che sembra svanita dalla memoria civica pitagorica, cancellata per decreto legge, disposizioni di Stato, limitazioni alla libertà religiosa e di culto.
Una catastrofe che ha travolto l’intera impalcatura storica della religiosità popolare del Sud, l’espressione più ampia e diffusa della fede e del cattolicesimo italiano che si affaccia sul Mediterraneo.
Mare della fratellanza, fortemente coeso nella comune devozione alla “Grande Madre” e, dunque, alla Vergine Maria nelle sue varie rappresentazioni iconografiche, una rete di feste patronali, pellegrinaggi mariani, cerimonie simboliche, compresi i riti di passaggio canonici tra i quali il battesimo, la prima comunione, la cresima, il matrimonio.
Non siamo ancora alla logica della “festa sospesa” ma le fragili marcature che fin qui hanno consentito la prosecuzione di festeggiamenti e riti, manifestazioni di pietà che costituiscono un raro e unico patrimonio universale di cultura tradizionale e religiosità, quei momenti sociologici e che formano identità di popolo e territorio, sono improvvisamente saltate, simultaneamente.
Sì, fosse stato pure il crollo di un castello di carte, comunque tale da travolgere clero e mercanti, atei e benpensanti, intellettuali e contadini, giovani e anziani, persino le prostitute che ci guadagnavano belle di notte e brutte di giorno, bambini e maestre di scuola elementare, che si mettevano ordinatamente in fila con il grembiulino azzurro e il fiocco bianco per depositare sotto la Sacra Effige della Madonnina il giglio puro e candido di un semplice desiderio.
Festa senza luce
che fa venire
alla memoria
il rimpianto
della vera festa
della Madonna
In questi mesi il Comitato della Festa Mariana, giustamente non si è visto in giro a fare l’annuale questua.
Dato che c’era poco da raccogliere tra botteghe con le serrande chiuse e aziende in emergenza, per cui il primo botto è stato sulle luminarie, le luci che avrebbero dovuto rallegrare il percorso stradale su cui transita il quadro grande della venerata Maria Bruna, Nera ma Bella, Stella Maris che va sul Piccolo Sempre Avanti la paranza che è finita pure nei libri di mafiologia applicata.
E poi per quel che ne verrà dopo, il “meno offerte-meno opere” da destinare alla carità, alla mensa dei poveri, agli immigrati, alle donne in difficoltà, ecc., ecc., ecc.
Festa senza luce che fa venire alla memoria il rimpianto della vera festa della Madonna che non è lo stesso del pellegrinaggio a Capocolonna, quando ancora si aspettavano i cantanti che arrivavano sempre in preciso ritardo intorno alle 11, dopo aver fatto il giro di qualche altro villaggio in festa patronale, e si faceva il palco in piazza Duomo, e cantavano i Dik Dik, e dalle casse, non sacre, si spandevano le note “moog” dell’organo Hammond, la versione italiana dei Procol Harum “A Whiter Shade of Pale”, intonando un “guardo lassù la notte quanto spazio intorno a me sono solo nella strada insieme a te”.
Cioè poi, a parte il senso della cultura immateriale, concretamente questo significa che dopo tanti anni nella città della festa mariana, i portantini, gli operai, i chierichetti, le monache del commentello e della casa di riposo, le caposala dell'ospedale S. Giovanni di Dio ora sfregiato in un’inutile ecomostro, le stagioni che ancora non c’erano gli Opus Dei e i Cavalieri di Malta, quelli con le cappe e gli stendardi immensi che non si sa che c’entrano con il folklore del Quadricello, sembra tutto un altro palcoscenico spettrale, in questo luogo a fari spenti, priva di quel decoro della vecchia Cutroni, i vicoli, Tonna, Falcone Lucifero che con il suo romanzo ha fatto forse di più del suo antenato vescovo, quello che edificò la chiesa madre con i blocchi di tufo del tempio di Hera, tra le rondini che volano e l’immagine di fantastiche quanto irreali ma agognate, sospirate luminarie di maggio.
Il Covid un flagello
che si è abbattuto
sulla dimensione
religiosa
e comunitaria
di questa città
dove ‘il cielo
è sempre più blu’
Festa senza musica perché la banda dell’indimenticabile maestro Lorenti e dei suoi devoti figliuoli che ne hanno ereditato lo spirito bandistico, continuando a dare fiato agli ottoni di famiglia, quest’anno non suona, non riempie di note il paesaggio sonoro di una comunità desertificata, ridotta al silenzio, priva di quella gioia di un attimo che si fa foto ricordo, cartolina della memoria, stimolando i cinque sensi, l'udito con l’orecchio universale pitagorico, il tatto a pelle per la prima abbronzatura, il primo bacio, il primo approccio e non solo, la vista, sguardo, visione e gli occhi immersi nella cromia accecante del Mezzogiorno, il palato goloso dell’educazione infantile al gusto della Madonna, zucchero filato e caramelle veneziane dei Fratelli Ferraiolo in arte burattinai, le mandorle e le nocciole siciliane dei mastri dolciari catanesi, i mastaccioli dell’artigianato storico vibonese, i venditori di dolciumi di Soriano e Sorianello Calabro, la bancarella del mitico Totonno di Tropea, l'odore a naso nel mentre tra pasticcerie del Moka e Bar Italia, tra le case del popolo si spande il profumo della “pitta” della Madonna.
Covid-19 è stato un flagello che si è abbattuto sulla dimensione religiosa e comunitaria di questa città dove il cielo è sempre più blu e del suo granaio circondario, bloccando i circuiti economici locali di tutto il Marchesato crotonese.
La fiera mariana è saltata, l’indotto commerciale massacrato, un danno economico di valore enorme. Si stima una perdita per l’economia di maggio, che poi è quella che fa da base per affrontare la stagione estiva, di quasi due milioni di euro.
Tutto senza che né il Comune, né la Regione, né lo Stato abbiano preso in seria considerazione un “ma come affrontare il primo banco di prova per la Calabria”, la fiera, la festa e il mercato, di chi vive e sopravvive di economia mercatale, commerciale, religiosa, turistica e di sussistenza famigliare.
Avrebbero
voluto i fedeli
vedere almeno
garantito
un modesto
addobbo luminoso,
un giro di banda,
lo sparo dei
tradizionali fuochi
Una frana economica circolare che dalle bande musicali va ai fuochisti delle ditte pirotecniche, dalle luminarie ai fiorai, dagli ambulanti ai giostrai, dagli organizzatori di eventi ai service audio/luci e, a catena, a tutte le imprese che vivono di economia delle feste mariane e patronali.
Proprio perché le feste sono un fatto sociale totale, un patrimonio culturale collettivo, comune, pubblico, comunitario, un giacimento di valori e di coesione sociale, avremmo voluto vedere e sentire lo Stato, lo Sato che dice sempre di esserci ma dopo mai prima, affermare che la Festa doveva essere salvata.
Invece, come sempre, non è stato così e dal Commissario Prefettizio, oggi sindaco facente funzioni di Crotone, Tiziana Costantino, nonché dal Prefetto Tiziana Tombesi, dunque dal Governo e dallo Stato, non abbiamo visto niente, nessun cenno di sensibilità, non un tavolo tra istituzioni civili e religiose per una mobilitazione finalizzata a “salvare” la festa di quest’anno.
Anziché di cercare di “utilizzarla” come incitamento, promozione e monito all’unità e alla solidarietà nazionale, civica e territoriale se ne sono lavate le mani con il gel igienizzante e il “distanziamento” del fine settimana, ponte lungo sul mare luccica.
Avrebbero voluto i fedeli, i crotonesi, le tante mamme con bambino e passeggino, vedere almeno garantito un modesto addobbo luminoso del corso, della piazza principale e della Cattedrale, un giro di banda al mattino nel giorno della festa per alcune tra le vie del centro, lo sparo dei tradizionali fuochi, diane o salve.
Niente, c’è il Covid 19 che copre tutto, niente, niente, niente ... Se non un servizio d’ordine normale, il posto fisso di polizia con un grosso e ingombrante furgone semi blindato che dà l’idea di trovarsi tra gli ultras allo stadio.