Tra un Voce e un Vice aspettavamo ansiosi una nuova proposta politica per Crotone. Invece, qualche pizzico di delusione fa capolino. Perché pare che tutto si riduca al dilemma Voce Sindaco e Correggia Vice Sindaco. Di sicuro c’è un dato di fatto: tra Voce e Correggia (e si dice la Parise), il grillismo crotonese assomiglia sempre di più alla tipica rissa delle più obsolete correnti della vecchia partitocrazia.
di Giovanna Fichera e Filippina Garofalo
Cosa accomuna queste due facce, solo apparentemente diverse, come quella di Voce (Classe Differente) e di Correggia (Stanchi dei Soliti) - oltre che il retaggio del passato e il comune mentore, l’architetto Enzo Frustaci, figliastro del compianto leader socialista Visconte Frontera - è di essere conio della stessa “medaglia”, in quanto elettoralmente collocati in un coacervo di pulsioni, bramosie di potere, invidie e rancori paesani che da qualche anno a questa parte trovano sfogo e rappresentanza nell’arcipelago dei “meet-up” dei grillini storici e in quelli recentemente più blasonati di Santa Veneranda, proprietà dell'ex dirigente dell’ufficio urbanistica del Comune di Crotone, architetto Adolfo Berlingieri.
Non solo, ma ciò che li stringe in un unico carattere, in una sola riconoscibile categoria, è certamente l’ambizione di salire al più presto su un improbabile palcoscenico politico da cui declamare il malmostoso ritornello del rifiuto di tutto e di tutti, il preconcetto rigetto di qualunque autentica e seria impostazione programmatica al servizio della città.
Come ci insegna la storia, proprio in questa città calabrese in cui venne prima accolto e poi ostracizzato il sommo genio Pitagora, messo in fuga dalla furia demagogica degli avversari politici ciloniani, tutti i populismi, in ogni tempo, utilizzano il disagio, lo svantaggio e la psicologia dei più deboli e bisognosi, fingendo di impersonarne le aspirazioni, al solo fine di conseguire il potere personale poi tracimante in tirannide.
Per quel che si può obiettivamente constatare, il grillismo crotonese al momento ha prodotto due consiglieri comunali del tutto ininfluenti e velleitari e due parlamentari elette certo non per merito di un radicamento sociale o di un impegno democratico apprezzabile.
Né tanto meno tale fragile e “plebiscitaria” rappresentanza è frutto di un consenso popolare reale, concreto e vero, l’esito premiale di una militanza politica localmente connotata, quanto e al contrario, piuttosto l’esito occasionale del miscuglio tra una cooptazione “aristocratica” di specifiche figure neutre e vecchie rendite di posizione della destra missina.
Messe in una lista per volere di Casaleggio o di chi per lui, la loro elezione ha dimostrato - alla prova dei fatti parlamentari - di avere lo stesso valore di una bella vincita al banco del bingo. Certamente vantaggiosa per loro ma non per la città e il territorio.
Ora il candidato a Sindaco Vincenzo Voce, che pare sia andato a Roma con il “capello” in mano, per richiedere ai vertici pentastellati la sua nomina a detrimento di quella registrata e già certificata di Andrea Correggia, praticamente si trova in mezzo al guado.
Non di fronte a un Pob ma a un Pub, ad un bivio “esistenziale” e politico che mette a dura prova coerenza e affidabilità della sua candidatura indipendente: o mantenere fede al voto che ha ottenuto dai suoi elettori, richiesto in aperta contrapposizione ai 5 Stelle, o rinnegare l’autonomia del proprio profilo politico andando a Canossa dalle due parlamentari gemelle (che non sono le Kessler) e con l’ipotetico e futuro “vice-sindaco”, designato nell’accordo, Andrea Correggia.
Appare evidente che la contraddizione che minaccia la ragione stessa della vantata diversità di Voce, rispetto agli altri candidati a Sindaco, è costituita dalla perdita della sua originalità, autonomia e indipendenza.
Per dirla in fretta egli dovrebbe rinunciare a quel suo carattere alla Masaniello (o alla Senatore più evidentemente), in quanto il rappresentante del popolo premiato alle regionali, perché ha già sterzato in altra direzione, ascoltando le più concrete lusinghe e offerte “borghesucce” che gli varrebbero di ottenere una legittimazione verticistica romana.
In buona sostanza, il finale potrebbe essere persino prevedibile: come se Carlo Tansi si facesse proporre e candidare da Jole Santelli.