Le serenate all’istituto magistrale, nell’ora di ginnastica e di religione... Scuola sull’orlo di una crisi di nervi? Nei trascorsi mesi della quarantena (in Francia le nostre colleghe scrivono “confinement”, confinamento, una parola più dolce che fa ritornare alle letture adolescenti, a Cesare Pavese confinato a Brancaleone in Calabria e a Carlo Levi con la sua forzata residenza in Lucania) la totale mancanza dell'attività didattica ci ha fatto comprendere quanto sia importante oggi più che mai la scuola in un Paese come il nostro. E ancora di più nel Sud dove la scuola è il primo piano dell'ascensore sociale, fin dai tempi della scolarizzazione di base e poi quella di massa, l'infrastruttura morale sentimentale pubblica del riscatto di intere generazioni.
di Vito Barresi
Malinconia di fine anno scolastico, mentre mia nonna da Riposto, sul lungomare che sta proprio ai piedi dell'Etna, mi ha già chiamato al telefono.
Appena finiscono gli esami è già pronta la pasta alla Norma che lei mi prepara quando torno a casa tanto che ne sento il gusto e il sapore caldo fin da quando metto piede sull’attracco mamertino.
Vengo da un’'isola che ha sempre fabbricato docenti per esportarli ovunque in Italia. Mi viene in mente il maestro Sciascia, ma potrei richiamare tanti altri nomi importanti.
Il coronavirus ha picchiato forte su alcune categorie professionali e impiegatizie che poi, se lo scriviamo nelle nostre lettere d'amore, sono i veri e propri ambiti di vita italiana apprezzata e conosciuta da tutti.
Sto parlando della scuola, degli ospedali, persino delle caserme dell’Esercito e dei palazzi e uffici delle varie forze dell'ordine. Questi mesi della pandemia hanno profondamente cambiato non solo le nostre emozioni, le nostre paure ma soprattutto gli schemi mentali del nostro lavoro quotidiano e, naturalmente, i modelli organizzativi, primo fra tutti quello dell'insegnamento.
Per cui abbiamo dovuto metterci qualcosa di nostro perché, in fondo, i mezzi messi a disposizione per l'istruzione a distanza non sono stati poi moltissimi. Tante volte è saltata la linea, il collegamento web non ha funzionato, il microfono o la videocamera non rispondeva alle reali necessità.
Insomma, internet delle cose non è proprio lo stesso del nostro modo di fare insegnamento nel rispetto dei protocolli educativi che conosciamo per esperienza e per concorso.
Mi è sembrato di essere in un paese degli altri. Quello che vi sto raccontando è quasi un reportage da dentro le aule vuote.
Non voglio dire proprio che il ricordo di quanto è successo possa passare in fretta ma mi sento molto preoccupata per il vuoto profondo che un domani la scuola potrebbe lasciare nella nostra società.
Perché la scuola vera è vita, come la storia è maestra di vita, contatto, confronto, non ricordo ma mi pare di aver letto tutto questo nel bel libro di Cristina De Stefano, Il bambino è il maestro, Vita di Maria Montessori (Rizzoli,2020) che con il suo esempio e la sua intelligenza ha saputo sempre indicarci che la vera trasmissione pedagogica si realizza nel rapporto diretto tra discente e docente, fin dal primo giorno di scuola quando ci insegnano l'alfabeto, senza altre forme di strumentale mediazione, se non quella della penna e del calamaio.
Oggi invece che siamo davanti agli schermi dei computer ci siamo resi conto che strumenti e tecniche non possono sostituire il dialogo frontale, la conoscenza dei saperi che avviene nell'empatia di una lezione.
Però sono tutte novità che pongono domande inedite su quel che oggi è il nostro ruolo di docenti, quello della scuola e dei suoi contenuti culturali e formativi. Già, perché l'impatto con l'epidemia avrà effetti di lungo periodo che forse neanche riusciamo ad immaginare.
Investire nel futuro della nostra scuola non sarà un gioco facile.
Diciamola tutta: ci siamo trovati fortemente impreparati e di fronte al contagio abbiamo preferito l'immediato rifugio nel privato delle nostre case. Adesso bisogna tutti tornare ad imparare, perché gli esami non finiscono mai, nonostante le regole del distanziamento il prossimo anno comunque dovrà iniziare.
Evviva, la scuola è finita! I banchi saranno vuoti durante quest'estate davvero particolare. A noi prof in crisi d'identità non ci resta che andare in vacanza e aspettare con ansia e speranza il giorno del ritorno in classe per vivere insieme un'esperienza nuova.
Ma, in fondo, dopo essere svanita quasi completamente che bello il chiasso dei bambini che si rivolgono ai propri genitori gridando a perdifiato: “mamma, mamma è tornata la scuola...”