Il lungo viaggio di Trenitalia nel tunnel della pandemia. Battisti Ad Ferrovie per un nuovo modello dei trasporti

27 settembre 2020, 09:05 100inWeb | di Vito Barresi

L’attacco Covid-19 alla rete logistica del Paese è stato terribile. Forse spaventoso tanto quanto quello sferrato ai livelli di difesa e salvaguardia sanitaria della popolazione. C’è silenzio nel “Cortile di Francesco” ad Assisi tra i presenti al confronto su “La Trasformazione dei Mercati”. In sala si coglie sconcerto e apprensione nel seguire il dipanarsi autobiografico, un vero “account” aziendale, che si materializza nel racconto di un viaggio in treno durante i giorni in cui il lockdown aveva desertificato le strade, piazze, luoghi di socialità, snodi infrastrutturali delle comunicazioni, bloccando i collegamenti, imponendo senza deroghe la dura legge del distanziamento.


di Vito Barresi

Sulle rotaie del Paese, nelle principali stazioni ferroviarie delle aree metropolitane, tra Milano, Roma, Bologna, Firenze, a passo d'uomo transitavano i convogli dell’alta velocita.

Quelli che, pur in perfetto orario, sono, comunque, arrivati a destinazione si contavano sulle dita di una mano. Chi ha viaggiato in quelle settimane d’inverno ricorda perfettamente quanto spettrale era l’atmosfera attorno ai vagoni. Una memoria dolorosa che affiora minuziosamente nelle riflessioni di Gianfranco Battisti, Amministratore Delegato Ferrovie dello Stato Italiane:

“Trenitalia e Ferrovie hanno garantito i collegamenti. Ma non solo dal punto di vista dei passeggeri. Abbiamo dato la possibilità ai medici di viaggiare gratuitamente, come pure al personale medico, abbiamo messo a disposizione ‘asset' che in qualche maniera andavano incontro a un’esigenza immediata di ambienti fisici, come ad esempio a Milano dove era possibile utilizzarli per un primo ricovero della gente malata. Poi per decreto abbiamo dovuto tagliare l'offerta. Per cui i collegamenti dell'Alta velocità ne abbiamo lasciati solo quattro tra Roma e Milano ma di fatto erano stati tutti tagliati. Soprattutto sulle merci, noi abbiamo avuto un grandissimo insegnamento su quella che la è catena logistica, l'approvvigionamento della filiera logistica. Lì è stato incredibile, abbiamo trasportato cinque milioni di tonnellate di merci che in qualche maniera hanno garantito la sopravvivenza del Paese sia dal punto di vista alimentare che farmaceutico”.

Battisti, non casualmente, usa una “keyword speciale per cercare di inquadrare il senso del rischio, la gravità e la portata della minaccia alla sicurezza nazionale, la parola “discontinuità”, la stessa utilizzata per rievocare la terribile frattura tra un prima e un dopo imposta a tutti dal dilagare incontrollato del virus:

“Abbiamo tra l'altro quella che io chiamo un approccio laterale, dal punto di vista della visione, la capacità di reinventarsi, cercando di anticipare anche quelli che erano i tempi delle iniziative per garantire un viaggio in estrema sicurezza sanitaria. Tanto che ci è stato detto che eravamo diventati una sorta benchmark in Europa per come stavamo gestendo l'emergenza sanitaria quindi il fatto di far viaggiare in assoluta sicurezza sanitaria le persone, ridisegnare completamente il modello di trasporto. Poi abbiamo anche realizzato un treno sanitario, unico in Europa che in grado di essere interoperativo per andare in tutte le linee europee e in tutti gli altri paesi dove vista l’emergenza con le ambulanze che portano i malati all’estero uno, due alla volta, abbiamo attrezzato questo treno per 25 malati gravi con le più alte tecnologie oggi disponibili in collaborazione con l'ospedale San Raffaele di Milano e la protezione civile.”

Ciò che Battisti descrive in termini di discontinuità non è però intesa nei termini di una rottura del sistema quanto di un’occasione storica e unica per cogliere tutte le opportunità scaturite dalla crisi sanitaria, per creare un nuovo modo di soddisfare i bisogni delle persone e degli utenti dei servizi pubblici:

“Noi abbiamo a Bologna un'azienda che fa manutenzione, un ‘asset’ con un’area sotto utilizzata che abbiamo immediatamente riconvertita e appena iniziata la crisi pandemica abbiamo avuto l’intuizione di ordinare dei macchinari in Cina che sono arrivati ancora prima di quelli poi richiesti dal Governo e lì oggi produciamo un milione duecentomila mascherine al mese e la produzione in eccesso la doniamo alla protezione civile dopo aver soddisfatto i bisogni di tutto il personale delle ferrovie”.

In sintesi, per Ferrovie dello Stato, il post Covid-19 è già un work in progress, l’occasione da sfruttare per rivedere il modello di sviluppo dei trasporti, a partire da una revisione del concetto stessa di Alta Velocità che non è più uguale a quella che avevamo immaginato fino ad oggi.

Il traffico tipico dell'alta velocità traffico, che è quello business, non ci sarà più, si è praticamente dissolto, conclude l’Ad, perché con la pandemia, sono cambiati i modi di collegarsi, muoversi, fare riunioni in teleconferenza. Un mutamento tanto radicale nella forma di produzione dominante che cambia di fatto e prima di tutto il modo di spostarsi.