Fratelli Tutti Enciclica contro le mafie. Papa Francesco attacca le falsità pedagogiche dei mafiosi

8 ottobre 2020, 19:30 100inWeb | di Vito Barresi

Il passo contro le mafie è davvero 'sine glossa'. Chiaro, evidente, conciso. Nell’enciclica “Fratelli Tutti”, Papa Francesco attacca le mafie e il loro brodo di coltura sociale ed economico, intriso e infarcito di falsità, interessi illeciti, fatalismo superstizioso e menzogne morali, quintessenza della subcultura mafiogena che, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia, tutti conoscono soffertamente “molto bene”. Una tesi contenuta e confermata in un apposito paragrafo del documento vaticano che non può e non deve passare inosservata.


di Vito Barresi

La pronuncia antimafia è contenuta al punto n. 28 del capitolo primo (Le ombre di un mondo chiuso) dell’ultima enciclica di Papa Francesco, “Fratelli Tutti”, dedicata alla fratellanza e all’amicizia sociale, dove si può leggere testualmente che:

“La solitudine, le paure e l’insicurezza di tante persone, che si sentono abbandonate dal sistema, fanno sì che si vada creando un terreno fertile per le mafie. Queste infatti si impongono presentandosi come ‘protettrici’ dei dimenticati, spesso mediante vari tipi di aiuto, mentre perseguono i loro interessi criminali. C’è una pedagogia tipicamente mafiosa che, con un falso spirito comunitario, crea legami di dipendenza e di subordinazione dai quali è molto difficile liberarsi”.

Anzi, va da essere rimarcato adeguatamente, il fatto che, forse, per la prima volta nella storia della Chiesa Cattolica, in un’enciclica papale c’è la più alta denuncia e condanna contro le mafie e la loro nefasta “pedagogia” di persuasione occulta, aggregazione a delinquere e proselitismo criminale.

Un agire mafioso ormai consolidato che continua a riproporsi nella forma di un subdolo e immediato surrogato di falsa giustizia sussidiaria per i più deboli.

Se le mafie sono come sono una grave minaccia anticristiana, capace persino di inquinare, infiltrare e corrompere pezzi antichissimi della religiosità popolare, di penetrare persino in parti della stessa amministrazione temporale del “deposito della fede”, c’era da attendersi questa analisi proprio nel quadro di una critica rigorosa e lucida ai grandi mali di un’epoca di globalizzazione liquida, in cui certi automatismi di espansione finiscono molto spesso per andare fuori controllo (vedi pandemia, crisi sanitarie e umanitarie, immigrazione e razzismo) sia sul piano nazionale che locale, offrendo “assist” incredibili, e sempre negativamente produttivi, nuove occasioni di profitto delinquenziale e radicamento alle mafie e ai poteri criminali.

Siamo di fronte a una autentica novità nel magistero dei papi, specialmente di quelli che si sono succeduti dopo il Concilio Vaticano II, che rafforza la pastorale, significativamente elaborata ed acquisita nella prassi di fede e nella catechesi, a volte sofferta fino al martirio come nel caso di Don Pino Puglisi.

Ma l’evidenza sta anche nell’acquisire come patrimonio eterno e immutabile quanto stabilito nella vita concreta della Chiesa in questi ultimi decenni in tema di lotta alle mafie, eliminando ogni retaggio di un passato in cui si era dato qualche legittimazione al fenomeno, pur in mancanza di qualsiasi legittimazione etica e giustificazione morale.

“Fratelli” entra nella storia della letteratura papale anche in quanto enciclica antimafia che, e sta in questo la sua valenza sul piano della dottrina, sancisce e suggella ai più alti livelli del magistero un punto di svolta e definitivo non ritorno su una questione talvolta fin qui controversa, se non quanto, quasi alla pari con l’altra piaga affrontata dalla chiesa bergogliana: la pedofilia.