Gianni Berengo Gardin e la Calabria, 90 anni e un ritratto con clementine su fotocamera a tracolla

14 ottobre 2020, 18:25 100inWeb | di Vito Barresi

Nel novantesimo genetliaco da poco festeggiato, non ci sono dubbi sulla musica da scegliere in perfetta armonia per fare da colonna sonora alle sue indimenticabili fotografie. Se non ora quando ascoltare il sound di un veneziano di antiche generazioni come lui? A Gianni Berengo Gardin spetta il tocco vispo e allegro, il contrappunto barocco, sontuoso ma semplice dello spartito vivaldiano, la melodia dei violini lagunari.


di Vito Barresi

Le note che volano leggere sui volti e i luoghi del suo immenso repertorio fotografico imprimono nella memoria pezzi rari e unici di una raccolta che ha la forma delle quattro stagioni di una vita magistrale, Berengo da giovane Gardin da “grande vecchio”, forever Gianni sempre sul fotogramma come un folletto che sale la collina di un gigante della fotografia, ancora attento, vero, obiettivo, anche adesso che divertito si rammarica, con un ampio diaframma di certa nostalgia, di non aver fatto, almeno qualche volta, l’ebanista falegname.

Affettuosi gli auguri della Tv svizzera che incontra e celebra, con un misurato servizio di Claudio Moschin, un fotografo di enorme caratura artistica contemporanea, maestro del bianco e nero, testimone di un’epoca originale che sta sul crinale del mondo antico e del boom economico del secondo dopoguerra nazionale, sospesa come un ponte di Renzo Piano tra il borgo rurale lasciato con tristezza e la città sfavillante di luci elettriche e vetrine coi riflessi, tra scorci di vita contadina italiana e ragazzi felici della via Gluck a Milano.

Uomo serenissimo dallo sguardo mite e dallo scatto dolce, “dipintore” dell’immagine sociale che non scade nel neorealismo, GBG ha saputo naturalmente cogliere con le angolature del suo pentaprisma l’accento lirico della vita italiana, inquadrando nel mirino l’arco di sospensione tra il reale e il fantastico, raccogliendo in camera oscura i granelli di un’eternità quotidiana, la stessa che si nasconde dentro il mutare del tempo.

Nelle foto di Berengo c’è l’alta e la bassa marea della sua infanzia in Giudecca, figlio di conciatori storici e bottegai popolari tra i calli di Venezia, un flusso di situazioni che è un tutto scorre che si fa continuum, esterno e interno, notte e giorno, e poi le militanze di tante meriggi con la nuvolaglia, il pellegrinaggio ininterrotto sui sentieri nei parchi, le lunghe attese e i sospiri sui ponti, il clic dalla prima foto tanti anni fa a Lugano, fino all’ultimo scatto di questa serata.

Tanto che con il suo stile, che è ormai divenuto un timbro mondiale, un vero e proprio marchio di fabbrica, ogni ritratto, paesaggio, momento, movimento, evento diventa istantaneamente, per magia ottica e luce lampo, un pezzo della nostra memoria collettiva, una scheda ricca di narrazione, un archivio storico di pellicole, carte sensibili, scatoloni Ilford, tutti catalogati, numerati, annotati e firmati a pennarello, con una manualità e artigianalità che ha fatto di lui un caposcuola dell’arte fotografica novecentesca.

Berengo merita auguri sinceri anche dalla Calabria, per il suo intensissimo rapporto di amore e raffinata attenzione all’umanità di questa terra estrema e solitaria.

Incanto davanti a case rupestri, persone, antiche rocche e silenziose comunità, dimostrato in tante occasioni e nella lunga durata di una frequentazione geografica costante che commuove sempre per quelle sue foto ad alta suggestione letteraria, tanto che a ripensarci oggi...quanta gioia interiore ricordare che quel mio pezzo su “Reporter” venne impaginato da un caro amico redattore con l’indimenticabile icona berenghiana e verghiana dell’anziana donna con un fazzoletto in testa che tira a riva la barca della sua povera famiglia di pescatori...

Riconosciuto e rispettato, Berengo è riuscito a farsi ammirare come autentico “patriarca” della rassegna “Corigliano Calabro Fotografia”, fin da quando nella prima edizione del 2003 fu il primo dei premiati, portando un contributo di alto valore professionale e prestigio, proprio all’inizio di questa manifestazione culturale di grande spicco che anche per la sua stima si è consolidata e storicizzata, imponendosi in quanto imprescindibile punto di riferimento internazionale per la fotografia d’autore.

Sensibilità tutta convogliata nella suo splendido lavoro fotografico, “Viaggio a Corigliano Calabro”, un libro di vedute e sentimenti forti e alvariani che è la prova d’autore per ciò che dopo è stato il naturale conferimento della cittadinanza onoraria, sgorgata spontanea dall’affetto e dall’accoglienza dei coriglianesi.

Forse per questo i quadri fotografici della sua Calabria sembrano eternarsi nel profumo di clementine, nell’essenza di un mandarancio, lo stesso che Gianni, ritratto sullo sfondo folto di un verdissimo aranceto da Gaetano Gianzi, sbuccia solare e sorridente, proprio appoggiandolo sulla sua mitica fotocamera a tracolla.