I sindaci del Rione Sanità. Il governo mobilita comuni e territori nella lotta al Coronavirus

20 ottobre 2020, 19:43 100inWeb | di Vito Barresi

Ad andare per grandi titoli bisognerebbe riprendere il famoso detto medievale “L’aria della città rende liberi”, un proverbio tedesco dell’età medievale perché la peste, il virus, una volta stava nelle paludi e nelle campagne del feudalesimo. Seguendo questo stimolante filo che lega storia e letteratura all’arte medica fin dall’antichità si può ben dire che con le ultime disposizioni il Presidente Conte abbia ripreso suggestione dall’edoardiano “Sindaco del Rione Sanità” a Napoli.


di Vito Barresi

In realtà oggi le cose non stanno né come nel medioevo prossimo venturo né come sul palcoscenico della compagnia dei De Filippo.

Con l’avvento della pandemia globale le città sono in emergenza, anzi spesso diventano la trincea del virus, la zona rossa dei contagi, lo scenario della paura e del coprifuoco.

Covid-19 ha posto in Italia più che altrove - che è Repubblica dei Comuni e delle Autonomie provinciali e regionali - la questione di un profonda riforma del rapporto tra sistema sanitario e realtà locali, tra medicina e territorio.

Per questo la recente scelta del Governo di dare un ruolo più forte e significativo ai sindaci, anche in base alle correnti disposizioni di legge in materia, è importante sia per le aree vaste e che per i piccolissimi comuni “polvere” disseminati nella geografia del Paese.

Lo è nella misura in cui essa riapre uno spazio frettolosamente smantellato da certe logiche di management che hanno posto l’accento più sulle “strutture” materiali della sanità ospedaliera che non sulla relazionalità territoriale di una medicina che deve tornare ad essere presidio diffuso nell’ambito locale, provinciale, a sostegno delle persone e delle famiglie dentro il perimetro coesivo e integrativo della prossimità.

Se è vero che la destrutturazione dei servizi sanitari territoriali, quindi anche comunali e urbani, è stato un errore pesante di cui oggi se ne vedono le disastrose conseguenze, adesso è tempo, proprio dentro l’emergenza, di cambiare strada, puntando sulla prevenzione, gli screening e la raccolta di informazioni schedulari, organizzate in data-base di zona, quartiere, ambito, circoscrizioni, comprensori, ecc., tali da configurare realmente una “social-street medicine”, dove famiglie, anziani, giovani, bambine e donne siano costantemente a portata di intervento e aiuto, letteralmente inventando proprio insieme ai sindaci.

Tocca anche ai primi cittadini mettere sui loro gonfaloni la striscia “safety first”, prima la sicurezza e la salute, aprendosi alla nuove prassi, ma anche sociologie, di quella medicina di strada che non esclude con i divieti ma include servizi sanitari e sociali sviluppati appositamente per affrontare le esigenze e le circostanze uniche di una crisi epidemica.

L’approccio fondamentale di una “street Medicine”, o se vogliano ridefinirla una “medicina su basi comunali”, deve essere quello di coinvolgere le persone nel proprio ambiente e alle proprie condizioni, con l’obiettivo di ridurre o eliminare al massimo le cause che concorrono al diffondersi dei contagi.

Forse per questo il nuovo ruolo dei sindaci nella crisi Covid-19 è ancora tutto da scoprire, anche in rapporto alle problematiche che emergeranno durante le campagne vaccinali già in programma per debellare il virus, che in un qualche modo ci fanno ritornare alla memoria le vaccinazioni di massa contro il vaiolo (Jenner), e la poliomielite (Sabin), l’epoca dei cosiddetti “insert” e della zolletta di zucchero che venivano somministrati negli ambulatori comunali.

Se i sindaci italiani, in questa pericolosissima ondata di ritorno del coronavirus, riusciranno ad aiutare la medicina italiana e il sistema sanitario nazionale a ritornare dalle persone sarà non un viaggio nel passato ma un balzo in avanti nel futuro per l’intera vita sociale europea.