“Mi auguro che questo governo e questa legislatura possano proseguire anche per approvare provvedimenti come quello che abbiamo presentato al Senato, per l’adozione del bilancio di genere negli enti territoriali”. Questo l’impegno della senatrice Pd Valeria Fedeli che sul tema del “bilancio di genere” ha presentato con altri parlamentari un apposito progetto di legge per introdurre nelle pubbliche amministrazione uno “strumento che, dopo una fase sperimentale, diventerebbe obbligatorio per valutare l’impatto su uomini e donne delle politiche pubbliche, favorire la trasparenza degli stanziamenti, per conoscere e quindi superare le disuguaglianze di genere”.
di Valeria Fedeli*
L’Italia è uno dei paesi avanzati con più elevati divari di genere: nonostante i progressi degli ultimi anni, emergono ancora bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro, minore tasso di occupazione, segmentazione orizzontale e verticale del mercato, limitata presenza nelle posizioni apicali delle imprese quotate.
La futura Strategia europea per la parità di genere dovrà dunque trattare sistematicamente tutte le situazioni in cui le disposizioni legislative in fluiscono sulle decisioni che le donne prendono nel corso della vita, superare i divari e la discriminazione, sviluppare il pieno potenziale.
Un impulso al contenimento di tali divari potrebbe derivare dall’introduzione dell’obbligo della redazione del bilancio di genere da parte delle amministrazioni pubbliche, inclusi gli enti territoriali, quale premessa di una più incisiva applicazione della valutazione di impatto delle politiche pubbliche sotto il profilo del genere.
Nell’esperienza italiana, il bilancio di genere è stato introdotto per la prima volta nel 2009, con il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150. Tuttavia, sulla base di quanto richiesto dal citato provvedimento, il contributo fornito dai bilanci di genere, che le singole amministrazioni erano tenute a includere tra i contenuti della relazione sulla performance da presentare entro il 30 giugno di ogni anno, è risultato limitato e al di sotto delle attese in termini di analisi e di ricadute sul divario di genere.
A questo si aggiunge il quadro delle esperienze locali che ha prodotto documenti importanti anche dal punto di vista metodologico ma che hanno rappresentato esperienze frammentarie e discontinue sul territorio.
Ai fini di una visione unitaria e completa sulle politiche adottate per la riduzione del divario di genere, del controllo a posteriori delle medesime e della formulazione di linee di indirizzo sulle politiche future, sarebbe auspicabile una estensione della sperimentazione a tutte le amministrazioni pubbliche, incluse quelle locali, che realizzano una parte consistente delle spese dirette a incidere sul divario di genere, nonché gli enti e le istituzioni che materialmente attuano le politiche pubbliche.
La fase sperimentale del bilancio di genere si sviluppa su un arco temporale di tre anni e agli enti territoriali che aderiscono alla sperimentazione sono riconosciute specifiche agevolazioni.
Al termine della fase sperimentale, la redazione del bilancio di genere diventa obbligatoria per tutte le regioni e gli enti locali, con esclusione dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, per i quali rimane un’opzione facoltativa.
La metodologia generale per la redazione del bilancio di genere si basa su una riclassificazione contabile delle spese del bilancio di ciascun ente territoriale in neutrali rispetto al genere, sensibili rispetto al genere (ossia che hanno un diverso impatto su donne e uomini) e in spese destinate a ridurre le diseguaglianze di genere.
I dati rilevati secondo tale metodologia sono elaborati dagli enti territoriali, ai fini della redazione del bilancio di genere, secondo i criteri stabiliti dalle linee guida.
*Senatrice Pd