E ora, che siamo ancora immersi nell’emergenza, come guardare avanti? Nel periodo del lockdown a fare la differenza è stata la possibilità di avere dei riferimenti territoriali saldi a cui rivolgersi per ricevere l’aiuto di cui si aveva bisogno, ma anche per essere orientati rispetto alle risposte che il Governo, da una parte, e le amministrazioni locali, dall’altra, stavano predisponendo.
di Don Francesco Soddu*
Sembra, dunque, profilarsi il rischio di una grave recessione - che potrebbe essere, secondo alcuni, la più austera dalla grande depressione - che produrrà un impatto evidente sul benessere e la vita delle persone, favorendo anche la nascita di nuove forme di povertà.
Il tutto si innesta in un tessuto, quello italiano, dove sono ancora evidenti gli effetti della crisi economica del 2008 e dove i poveri assoluti, privi cioè dei beni essenziali, sono oltre 4,5 milioni.
L’unico modo per andare oltre l’emergenza è costruire una visione per il futuro del nostro paese attorno a cui coagulare le energie e il fermento che abbiamo scoperto annidarsi nelle pieghe del tessuto sociale in questi mesi.
Li abbiamo voluti chiamare “gli anticorpi della solidarietà” (QUI), perché sono stati appigli concreti nelle situazioni di emergenza, lasciando intravedere le potenzialità di una cittadinanza attiva e solidale che andrebbero nutrite e valorizzate.
Anche i dati dei centri di ascolto fanno presagire una crescita della povertà: da un anno all’altro l’incidenza dei “nuovi poveri” passa dal 31% al 45% (quasi la metà di chi si rivolge alla rete Caritas non lo aveva mai fatto in passato). Aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani e delle persone in età lavorativa.
Si palesano poi disuguaglianze e sperequazioni sociali che il virus ha fatto emergere in tutta la loro crudezza, rendendole ancora più acute, e che non sempre i diversi sistemi di protezione sociale dei vari Paesi riescono a contenere. Le disuguaglianze, che assumono dimensioni macro a livello mondiale, si declinano poi in modalità diverse all’interno dei singoli Stati.
Anche in Italia, lo sappiamo, a pagare il prezzo più alto della pandemia sono proprio le persone più fragili e vulnerabili. Richiamando, ad esempio, la dimensione occupazionale, l’impatto della pandemia e dei conseguenti contraccolpi economici produce effetti diversi nei lavoratori precari, intermittenti o lavoratori a chiamata rispetto a chi ha un impiego con un contratto a tempo indeterminato.
Occorre tenerlo ben presente, anche nella prospettiva di quelle risorse economiche che giungeranno nei prossimi mesi - ad esempio i fondi del Recovery fund - e che saremo chiamati ad utilizzare per la ripresa economica. Senza un piano definito prolifereranno interventi giustapposti, comunque utili, ma non in grado di incidere una volta per tutte sulle criticità dei nostri assetti economici e sociali.
Adesso bisogna avere il coraggio di creare una discontinuità rispetto al passato. E per farlo dobbiamo mettere al centro la qualità e la tenuta delle relazioni, la coesione sociale, la promozione delle capacità delle persone, i processi di infrastrutturazione sociale, “facendo fruttare le potenzialità di ogni regione e assicurano così un’equità sostenibile”.
Intorno a una strategia per il futuro del nostro Paese occorre far convergere infatti risorse umane prima ancora che economiche e in questo orizzonte stimolare azioni, interventi, progetti, proposte che vadano a favorire “il superamento dell’inequità” e la promozione di una “nuova economia” più attenta ai principi etici.
*Direttore Caritas Italiana
(Si ringrazia l’autore del brano tratto dall’introduzione de “Gli Anticorpi della Solidarietà” Rapporto 2020 su Povertà ed Esclusione in Italia, Caritas Italiana)