Nel “malinconico” anniversario dei cinquant’anni di regionalismo, l’ignoranza e l’incompetenza sembrano diventati gli unici valori dominanti sulla scena politica attuale della Regione Calabria. Aspettando la data delle prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale e la scelta del nuovo/a Presidente della Giunta Regionale è bene, da subito, chiedersi quale sarà il volto della democrazia calabrese dopo il coronavirus, come costruire insieme un regionalismo nuovo fuori dai vecchi schemi del passato.
di Vito Barresi
Di fronte a quanto sta accadendo tra il Consiglio Regionale della Calabria e la Giunta Regionale, tutte le forze politiche regionali e nazionali dovrebbero avvertire la primaria necessità di una riflessione di alto profilo.
La maggioranza dei calabresi, statisticamente circa un milione, cioè quanti nell’ultima elezione hanno scelto di rifiutare il voto, dimostrano di non credere più all’illusione dello schema bipartitico, secondo cui in Calabria si governa a metà, cinque anni a te e cinque a me, tra centrodestra e centrosinistra.
Questa logica non vale più, è perdente per le province, i comuni, i territori e i cittadini.
Anzi, se esaminata in controluce, o se si vuole alla luce dei fatti e dei mutamenti reali nell’assetto dei poteri interni alla stessa istituzione ragionale, sembra far intravedere ben altri e più inquietanti meccanismi pattizi tra gruppi di affari esterni e dirigenza burocratica interna alla stessa Regione Calabria.
Tutto ciò avviene puntualmente ad ogni elezione, quasi fosse un vero e proprio rituale, una triangolazione pitagorica perfetta, in cui i tre compari non sono i cavalieri dell’Apocalisse ma la Politica con il suo ceto di rappresentanza, gli Affari economici con gli imprenditori che attendono e vivono di fondi pubblici, europei, nazionali e regionali, le dirigenze regionali che svolgono il ruolo di mediazione amministrativa e legale dei grandi e piccoli progetti che riguardano le risorse più importanti, dislocate nei vari territori di mari, montagne, foreste, bacini idrogeologici, minerari, energetici e pianure e, logicamente, la sanità, i servizi sociali, ecc..
Il netto e clamoroso allontanamento dalle urne, quasi uno sciopero elettorale non dissimile da quello che avveniva in piccoli comuni assediati dal crimine mafioso, mette in evidenza quando sia ormai risicata e pericolosa la quota “passiva” che serve a legittimare (e ambiguizzare) la governabilità (poco più di cinquecentomila calabresi).
La Calabria vuole altro, cerca cioè una nuova leva di uomini e donne che scelgono la politica regionale in quanto servizio al prossimo, in una cornice di valori comuni forti, autonomi, democratici e popolari, ispirati all’unità del popolo e alla solidarietà sociale, in cui questa terra smetta di essere merce di scambio con altri interessi dislocati a Roma o nel Nord del Paese.
Per affrontare al meglio la prossima campagna elettorale c’è, dunque, bisogno di una nuova forza politica regionalista che deve collocarsi al “centro” delle aspirazioni concrete e culturali e dei bisogni reali dei territori.
Dimostrando all’elettorato calabrese la piena e valida capacità di far scaturire, proprio in questo clima di paura diffusa e preoccupazione generale, un condiviso impegno di responsabilità, offrendo un contributo utile e costruttivo, senza interessati tatticismi e ricerca spasmodica di primati, tra egoismi carrieristici e corsa all'autocandidatura alla carica di presidente.