Calabria oltre Covid dove l’emergenza non è più la ‘ndrangheta ma un pauroso tracollo demografico

29 novembre 2020, 20:30 100inWeb | di Vito Barresi

"I figli? Sono un genere di lusso”, così mi disse un giorno un’agiata e anziana signora della ricca borghesia provinciale calabrese. Eravamo tutti ancora sulla coda cadente di una stella cometa, gli ultimi anni dell’età dell’oro, sull’otto volante dell’ottimismo generazionale e della crescita economica infinita, sugli allori del ‘baby-boom’. Battuta a dir poco profetica considerando che oggi, in piena seconda ondata del Coronavirus, l’annuncio di un tempo tende ad assume ben diversi contorni, molto simili a quelli di una rappresentazione estremamente precisa e reale del drammatico tramonto demografico di un’intera regione.


di Vito Barresi

Se non è l’apocalisse demografica quasi si sfiora l’autunno del medioevo prossimo venturo, almeno a stare alle ultime previsioni demografiche aggiornate per la Calabria dopo l’avvento del Coronavirus. Numeri che disegnerebbero un crollo delle nascite e della popolazione che sarebbe addirittura agghiacciante.

Tale da far sbottare più di qualcuno, stufo di fronte alle solite chiacchiere mediatiche spifferante con l’altoparlante da certo ‘giornalismo’ prezzolato': "altro che ‘ndrangheta! Qui, in questa regione martoriata con il Covid, la decimazione della terza e quarta età, l’emigrazione e l’abbandono dei comuni, il nemico principale sta diventando l’estinzione stessa dei calabresi da subito e nei prossimi decenni".

La pandemia, con il suo pesante corollario di aumento della mortalità, crisi sanitaria e aggravamento della crisi economica strutturale colpirebbe ancor di più al “grembo” ormai quasi infecondo dell’indice demografico di natalità.

Il rischio del crollo della popolazione regionale a livelli mai verificati nel recente passato, è dentro lo scenario a tinte fosche tratteggiato appena qualche settimana fa dal presidente dell'Istat, Gian Carlo Blangiardo, in audizione sulla manovra davanti alle Commissioni bilancio di Camera e Senato, che ha fatto riferimento al clima di paura e alle crescenti difficoltà macroeconomicihe, tra cui occupazione e reddito, determinate dal diffondersi di un virus che non solo uccide gli anziani ma incide negativamente sulle scelte di fecondità delle coppie italiane, sconvolgendo strutturalmente la mappa della vita.

Il quadro allarmante dipinto da Blangiardo si coglie all’istante nei dati offerti a tal proposito per cui:

“i 420 mila nati registrati in Italia nel 2019, che già rappresentano un minimo mai raggiunto in oltre 150 anni di unità nazionale, potrebbero scendere, secondo uno scenario Istat aggiornato sulla base delle tendenze più recenti, a circa 408 mila nel bilancio finale del corrente anno - recependo a dicembre un verosimile calo dei concepimenti nel mese di marzo - per poi ridursi ulteriormente a 393 mila nel 2021”.

Con il virus molte variabili stanno cambiando non solo rapidamente ma anche radicalmente, in modo incontrollato, tanto che se nel recente passato la questione centrale era il cambiamento della composizione per età della popolazione, adesso è saltata ogni correlazione tra denatalità e invecchiamento demografico, per via del fatto che l’indice di vecchiaia – ossia il rapporto tra la popolazione anziana e quella giovanissima - che misura il grado di “polarizzazione” della popolazione - sarà in Calabria completamente stravolto.

Di fronte a questo possibile tracollo della popolazione calabrese e alla desertificazione del territorio regionale, la politica in ogni suo grado di rappresentanza, nazionale, regionale e comunale, non solo fa poco e niente per individuare almeno qualche percorso che promuova e incentivi le nascite con azioni adeguate ma neanche si interroga e discute.

Una non curanza che va sempre più svelando le sue più ingiuste e immorali inclinazioni censitarie, classiste e antifemminili che si sostanziano nel deplorevole disinteresse per le famiglie se non quando rischiano di far vacillare un cardine della coesione sociale.

Interesse che scatta disinvolto e distaccato tra i pochi grandi ricchi, i vecchi e nuovi notabili che detengono patrimoni, proprietà, latifondi, denari cash, quasi sempre spesi nelle città del potere italiano ed europeo, e che si accorgono ogni tanto che le famiglie dei poveri possono diventare un problema anche per il decoro del loro falso ordine sociale, trasformando sofferenza e bisogno strutturale in funzione di pacchi spesa, elemosine e buoni, sostegni interessati non alla solidarietà vera ma al mercimonio e allo scambio di altri favori, magari anche elettorali.