Siamo nati come Politica Insieme, prima, e abbiamo dato un importante contributo alla nascita del nostro partito Insieme, dopo, perché convinti della necessità di far evolvere in “centralità” di contenuti e di presenza politica ciò che per esigenza lessicale, purtroppo un prezzo deve pur essere pagato al linguaggio corrente, è sbrigativamente chiamato “centro”.
di Giancarlo Infante*
Non si tratta di un mero posizionamento, che pure dev’essere chiaro, ma soprattutto il convincimento che la nostra ispirazione di riferimento richieda la conferma e la concretizzazione attraverso una capacità programmatica e di proposta.
Attorno a questa, solo attorno a questa, è possibile definire la posizione da assumere nei confronti degli altri partecipanti al quadro politico più generale. In ogni caso, all’insegna della parola d’ordine “per qualcosa” al posto di quella “contro qualcuno”.
Sappiamo che la politica è anche scontro, ma non concepiamo un confronto anche duro se non sulla base di scelte e percorsi da prospettare al Paese che per noi non possono prescindere dalla ricerca di quello che chiamiamo Bene comune, piuttosto che l’autoreferenzialità esistenziale coltivata in maniera soverchiante da tutti i partiti e movimenti che conosciamo della cosiddetta Seconda repubblica.
Abbiamo avvertito sin dal muovere dei nostri primi passi, così, l’impegno a partecipare alla costruzione di un “baricentro” di un sistema che non ha equilibrio, non ha coerenza e non ha la costanza in grado di assicurare una prospettiva di lungo respiro a un’Italia la quale non sa più cosa significhi porsi degli obiettivi strategici, tra l’altro richiesti in maniera stringente dall’evoluzione del mondo contemporaneo e dai processi europei. Quello che abbiamo chiamato nel nostro Manifesto, insomma, la trasformazione di cui necessita l’Italia.
L’intenzione di partecipare alla costruzione di questo “baricentro” non significa porsi su di una posizione di equidistanza astratta dal centrodestra come dal centrosinistra o dai 5 Stelle. Bensì il concepire una presenza che renda possibile la ristrutturazione di un ampio mondo che può divenire “centrale” perché in grado di far convergere variegati settori della società italiana sulla definizione di un nuovo, possibile più costruttivo ed efficace assetto istituzionale e politico.
Si tratta, in sostanza, di lavorare, ovviamente con altri, ad un allargamento di quelle posizioni che oggi si sentono e sono effettivamente già alternative all’intero quadro politico nazionale e a quanto propongono i partiti oggi presenti in Parlamento, a livello regionale e nelle grandi città.
La riforma dello Stato e delle autonomie, l’Europa, una nuova politica dell’occupazione, che coinvolga l’intero mondo del lavoro e dell’impresa sollecitati dall’ennesima rivoluzione industriale in corso, l’innovazione, il riequilibrio sociale e regionale, un sistema scolastico e formativo che educhi e ci ponga nella scia dell’evoluzione dei paesi più avanzati che rispondono all’esigenza di perseguire uno sviluppo sostenibile.
Questa è la sostanza della “centralità” politica e sociale che abbiamo sempre avuto in mente. Resa ancora più stringentemente necessaria del disastro che il sistema politico italiano nel suo complesso ha provocato in campo sanitario e dal Coronavirus definitivamente disvelato.
E’ evidente quanto la politica italiana, l’attività parlamentare e quella delle amministrazioni regionali appaiano sostanzialmente etero guidate da interessi esterni, parziali e a cui, dunque, mancano una visione ampia e innovativa. E’ soprattutto ciò a porre il problema particolarmente specifico per il nostro Paese della crisi del processo democratico e della partecipazione.
Siamo una situazione, divenuta particolarmente evidente negli ultimi 25 anni, in cui al cittadino è lasciata la sola formale scelta al momento dell’appuntamento elettorale. Gli è però resa del tutto impossibile, oltre che superflua, un’effettiva partecipazione sua e da parte di quei corpi sociali naturali di cui egli è parte che costituiscono la vera ricchezza della vita pubblica italiana, per quanto spesso non ufficiale e non “ufficializzata”.
La nostra è una società estremamente debole e inascoltata e in questo si trovano alcuni dei motivi della crescente astensione elettorale. Non siamo di fronte allo stesso tipo di astensionismo proprio delle società più evolute dove il sistema civile ha una notevole alterità nei confronti della politica.
Là, esistono delle guarentigie sostanziali di cui godono il cittadino e le autonome entità intermedie di cui egli fa naturalmente parte oltre che sistemi giudiziari non direttamente dipendenti, o almeno non in maniera tanto stringente, da una politica che ha la pretesa di assorbire e di risolvere l’intero confronto tra gli interessi liberamente operativi senza essere legati al formarsi di questa o di quella maggioranza parlamentare o governativa.
Quello che dobbiamo concepire, dunque, è un percorso politico che riannodi i fili spezzati nella società civile ed economica, tra queste e le istituzioni e la politica, e consenta d’individuare un’ampia sfera di convergenza per prima cosa tra gli interessi vitali che vivono la “complessità” del mondo del lavoro, dei processi innovativi che tanto ci condizionano, delle dinamiche proprie di una società già di per sé in una fase nuova di difficile lettura e comprensione; e questo spiega l’incapacità dei partiti tradizionali a penetrarne le dinamiche e le conseguenze, presi come sono a preoccuparsi esclusivamente della loro mera sopravvivenza in una logica esclusiva di schieramento .
In coerenza con questo assunto si può parlare di partito “plurale”. Cosa del tutto diversa rispetto a quella cui si riferiscono anche eminenti figure del Partito democratico il cui obiettivo è di procedere ad una mera sommatoria di spezzoni di gruppi e organizzazioni politiche.
Continuare, insomma, con la “fusione a freddo” fatta in quel partito tra una parte delle esperienze politiche risalenti alla Prima repubblica senza rispondere al travaglio profondo della società civile e del mondo del lavoro e della produzione.
La crisi esistenziale del Pd sta a confermare che oggi la dimensione della politica dev’essere tutta diversa rispetto a quella del passato. Va in primo luogo svolta al di fuori del Palazzo, intercettando quei filoni profondi che percorrono il corpo sociale e ne agitano le articolazioni, ancorché non percepiti o trascurati dall’attuale mondo politico.
Altrimenti un giorno, pensando anche al perdurare della crisi sanitaria ed economica, ci sveglieremo e non saremo a confrontarci con nuovi equilibri parlamentari raggiungibili tra i vecchi partiti, ma con un possibile autentico salto “di sistema” dalle caratteristiche ancora tutte da definire e che non è detto siano proprio rassicuranti.
*giornalista professionista, dirige il quotidiano on line www.ultimaedizione.eu