Promessa di gioia: per un identikit al rovescio. Cosa ti aspetti dalla vita? Te lo sei mai chiesto? Non credi che sia proprio il momento di iniziare? Abbi chiaro dentro di te il contenuto della tua attesa, perché sarà proprio ciò che aspetti a darle senso. Non ti capiti che l’indecisione ti porti ad attendere cose indefinite e confuse, cose che alla fine non verranno.
di Mons. Antonio Staglianò
La III domenica di Avvento, ogni anno e da secoli ci invita alla gioia, e pensandoci un po' su, non è forse questo il contenuto più originale del nostro aspettare? Tutti noi desideriamo ogni giorno un appuntamento con la gioia, mentre il dolore giunge sempre inatteso. Ma cosa è la gioia? Siamo sicuri di saperla riconoscere? Proviamo a delinearne una sorta di identikit al rovescio:
- Contentezza: gioire per le cose che si hannoLa gioia non ha data di scadenza, le altre cose sì. Cosa accadrà quando quel paio di scarpe si romperà, il cellulare sarà vecchio, la tua auto si righerà, etc. ? Le cose possono farti contento, ma la gioia è un’altra cosa: essa è ciò che dura oltre le cose!
- Allegria: gioire perché non si hanno pensieriNon avere problemi, responsabilità e limiti, etc. ma per quanto tempo? Ti ricordi il nome di quella favola in cui il protagonista, andando dietro a voci che offrivano allegria senza limiti, finì per ritrovarsi con le orecchie da asino? L’allegria - come la giovinezza - è un bel fiore, ma appassisce presto.
- Felicità: gioire per la propria bravuraSei il palestrato della comitiva, la più intelligente della classe, il più divertente, la leader, etc. ed è bellissimo, c’è da essere davvero felici. Solo una piccola paura ogni tanto viene a bussare al tuo cuore: perdere quel “posto”. Felice, ma sempre all’erta...non ti sembra un po' faticoso? La gioia non ha nulla da perdere o da difendere.
- Divertimento: gioire per non soffrireScegliere di mettere da parte tutte le domande difficili, le sfide e gli obiettivi alti, ti fa sentire a tuo agio e rilassato. Un giro con gli amici, due birre, tre risate, quattro chiacchere, etc. e poi? Ti svegli, e le domande che avevi messo da parte, si sono risvegliate con te. La gioia, ricorda, ha gli occhi ben aperti.
Quanti sinonimi, tutti con sfumature diverse e anche un po' deludenti. Ma lasciate che vi spieghi bene: nel termine “gioia” (che deriva dal latino gaudium), è conservata una radice verbale che evoca tanto il coraggio del rischio (= audere) quanto l’ascolto (= audire).
A partire da questa piccola suggestione, potremmo dire allora che la gioia sia proprio il frutto di quanto rischiosamente ascoltato. Se le definizioni di prima parlavano di una serenità al singolare (io ho tutto, non ho responsabilità, sono bravo, non voglio essere attento, etc.), invece la gioia - per definizione - germoglia solo dal coraggio di dare ascolto (= obbedire) ad una buona notizia.
Ma le buone notizie si sa, sono sempre rischiose, perché chiedono un investimento di fiducia che profuma di azzardo; ma forse non è proprio per questo che la gioia scarseggia in questi tempi? Perché c’è poca gente disposta a rischiare, preferendo l’ovvio - che si dimostra non combustibile, lasciandoci spenti (senza gioia) - alla speranza?
Solo le promesse buone incendiano! In questo tempo d’Avvento tutte le promesse si realizzano e lasciano il posto al Promesso, che benché sconosciuto (cfr. Vangelo) merita la nostra fiducia (cfr. II lettura); Egli è venuto a portare proprio una buona notizia (cfr. I lettura), avrai il coraggio di ascoltarla?
«Guarda, o Padre, la fedeltà del tuo popolo che attende la nascita del Tuo Figlio, e fa che, giungendo presto a così tanta gioia,possiamo godere lietamente delle Sue promesse».
Noto 13 dicembre 2020 (Terza domenica di Avvento)
+ Antonio, Vescovo
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Mons. Antonio Staglianò torna sui temi che più gli stanno a cuore nella misura in cui da sempre egli evidenzia la sua predilezione di pastore che ama il dialogo con i giovani, non solo a parole ma anche col canto. Lo fa con una meditazione a loro espressamente dedicata nella terza Domenica di Avvento. Una riflessione luminosa che cade nello sguardo di un presente cupo e pieno di vecchie e nuove angosce, ma al contempo acuta nel saper trovare quelle angolature guizzanti anche nel quadro monotono di una comunicazione mediale che ha espulso i giovani dal proprio orizzonte. Negandone, spesso, la naturale vitalità e progettualità, per relegarli a comparse nella prigionia consumistica e pubblicitaria, anzi addirittura e inopinatamente gettandoli nella criminalizzazione imperante che li vuole untori sociali dell’epidemia. E, infine, questa sortita appare libera, come è nello stile di ‘don Tonino' quando affronta, pur senza mai citarlo, questo immenso, impressionante, a suo modo persino tragico disagio giovanile che è cresciuto smisurato in questi mesi di decreti, ordini, chiusura di scuole, formazione spersonalizzante, coprifuoco e lockdown. Un tutto confuso e indistinto che fa notte buia fino al limite di un annullamento, un nichilismo morale e una confusione esistenziale, che rischia di travolgere il futuro stesso delle nuove generazioni. Ecco perchè i pensieri, le rapide considerazioni che si intrecciano in questo ragionamento a viso aperto, pongono a tutti noi quello che è veramente il dilemma del nostro tempo che non è solo quella della scomparsa di una generazione del passato ma del pericoloso sorgere di una frattura epocale, segnata dalla mancata nascita di una prossima generazione, una next generation, impedita nella sua crescita evolutiva, nell’equilibrio e nella felicità. Facendo emergere, su tutte, una domanda forte tra i più deboli: cioè quanto siamo ancora in grado, non solo di pensare egoisticamente al nostro singolo 'si salvi chi può’ di fronte alla minaccia e allo spettro del virus e della malattia, ma riuscire ad aprire gli occhi sui nostri figli, sui giovani che diventano adulti, sulle ragazze che saranno donne forti, libere e orgogliose, solo se la società saprà scoprire in loro il prodigio della vita e l’anelito a voler costruire insieme un mondo migliore. (Vito Barresi)