La senatrice a vita Liliana Segre ha presentato una interrogazione urgente al Presidente del Consiglio Conte e al ministro Bonafede con cui ha chiesto di collocare fra le categorie che dovrebbero avere la priorità nella somministrazione del vaccino contro il coronavirus i detenuti e il personale penitenziario. Nella convinzione che il Governo saprà cogliere l’importanza di tale sollecitazione e intervenire in proposito a tutela della popolazione carceraria, pubblichiamo l’appello per la campagna vaccinale ai detenuti e al personale penitenziario lanciato dall’Osservatorio Carcere di Cosenza.
L'Osservatorio Carcere di Cosenza chiede che, una volta disponibile il vaccino Covid, sia data priorità anche ai detenuti. Il vaccino giunto in Italia non sarà disponibile per tutti. Sarà necessario stabilire delle priorità. Apprendiamo dai media, che la precedenza sarà data, giustamente, ai cittadini più vulnerabili e più esposti.
Tra questi, i lavoratori del settore sanitario, gli ultra sessantenni, i malati cronici, i pazienti con più malattie, i lavoratori dei servizi essenziali, come insegnanti, forze dell'ordine, in pratica chiunque viva in situazioni dove non possa essere garantito il distanziamento fisico.
Non abbiamo letto, né sentito - augurandoci di essere stati distratti - tra i destinatari del vaccino le persone detenute che, da un punto di vista sanitario, erano già vulnerabili ben prima dell'arrivo del Covid 19 e oggi vivono in uno stato di esposizione "naturale" - o meglio "innaturale" - al virus, per il ridottissimo spazio a loro disposizione, nella maggior parte dei casi, estremamente carente dal punto di vista igienico e, quindi, foriero di ogni tipo di malattia.
Donne e uomini affidati allo Stato, che deve punirli sì, ma anche "rieducarli", salvaguardandone l'integrità fisica, assicurando loro piena ed effettiva inclusione nelle misure adottate all'esterno per risolvere, in via definitiva, il flagello virale.
Nemmeno il personale dell'amministrazione penitenziaria che, per ragioni di lavoro, è a diretto contatto con la comunità ristretta, sembra essere nell'elenco delle priorità. Dai dati regionali che pervengono all'Osservatorio Carcere dell'Unione dalle Camere Penali, da quelli locali e nazionali che, finalmente, il Ministero della Giustizia ha reso pubblici, l'infezione si sta diffondendo in maniera esponenziale e a macchia di leopardo in tutti gli istituti di pena.
Al 7 dicembre scorso, i positivi tra i detenuti erano 958 (868 asintomatici, 52 sintomatici gestiti internamente, 38 gestiti in strutture ospedaliere), tra il personale di polizia penitenziaria 810 (771 in degenza presso il proprio domicilio, 25 presso le caserme, 14 presso strutture ospedaliere), tra il personale amministrativo e la dirigenza 72 (71 in degenza presso il domicilio, 1 in struttura ospedaliera). Va anche ricordato che il pianeta carcere vive di continui contatti con l'esterno.
Per quanto siano stati eliminati o comunque limitati i colloqui in presenza tra detenuti e familiari, gli agenti di polizia penitenziaria devono necessariamente, in alcuni momenti, essere vicino ai detenuti e, spesso, in spazi angusti. Agenti che usciranno per tornare alle loro famiglie, con la paura e il concreto pericolo di poter diffondere il virus.
La prevenzione all'interno degli istituti di pena risponde, pertanto, non solo al dovere di tutelare la salute dei detenuti, ma anche ad evitare micidiali focolai che possono minacciare, mettendola ancor più a dura prova, la comunità esterna. Senza tener conto della circostanza che il distanziamento personale in carcere è impraticabile e sono pochissimi gli istituti che possono consentire l'isolamento di chi ha contratto il virus.
La politica e la stragrande maggioranza dei media ritengono che nei circa 200 istituti di pena italiani vi sia una sorta di extraterritorialità e che coloro che vivono all'interno delle mura - ristretti o comunque lavoratori liberi - non debbano essere presi in considerazione. Un mondo a parte di cui nessuno si vuole fare carico.
Non ci meraviglia, pertanto, che nel dibattito sulle modalità di somministrazione del vaccino, il luogo dove vi sono le persone più vulnerabili e più esposte - dopo il personale sanitario e gli anziani chiusi nelle case di riposo - sia stato ignorato, ma ci auguriamo che la presa in carico avvenga in tempi brevi, nel rispetto di quel patto sociale rappresentato dalla nostra Costituzione.
Attendiamo che il Ministro della Giustizia, unitamente al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, predisponga immediatamente il piano operativo per la vaccinazione dei detenuti e di tutti coloro che lavorano negli istituti di pena.
Si tratta di oltre 100.000 persone, che vanno immediatamente protette perché quotidianamente a rischio personale e in quanto potenziali diffusori del virus.