La “nuova regione” che non c’è: siamo ancora una terra di conquista

31 dicembre 2020, 09:00 Imbichi

Leggere una vecchia rivista, un vecchio inserto o un vecchio programma elettorale, è come leggere un documento fatto ieri, al più qualche giorno fa. Cronicamente riscopriamo le criticità di questa regione, e ci aspettiamo, con il nuovo anno, un cambiamento miracoloso che viene puntualmente disatteso.


Di Francesco Placco

In questo ultimo scorcio di legislatura regionale è indispensabile il rilancio del primato della politica da parte di tutti i Partiti. Ciò è necessario se si vuole evitare il discredito e la poco credibilità sugli uomini che ciascun Partito presenterà alla ribalta della prossima competizione elettorale regionale”.

Sembrano quasi parole moderne, pronunciate – in maniera sicuramente più colloquiale e meno garbata – da qualche parente a tavola o da qualche amico con il quale si parla del più e del meno. Eppure, sono parole messe nero su bianco nel 1975, in vista delle elezioni regionali di allora.

Non c’è niente che scalda gli animi più di una bella “competizione elettorale”. Ed in Calabria poi è un fatto talmente evidente, talmente esemplare, che pare di trovarsi di fronte ad un dèjà-vu.

Abbiamo appena concluso un anno che a modo suo farà storia, durante il quale ci siamo scoperti comparse di una tragedia nella tragedia. Eppure, ci ritroviamo esattamente come un anno fa: a fine dicembre a parlare delle prossime elezioni.

La questione della sanità regionale ha lasciato il passo ad altri commenti, ad altri problemi, ad altre cose. In un solo anno, l’Italia ci ha riscoperto (per l’ennesima volta) come regione disastrata, ha cercato una cura frettolosa al problema, ha scaricato responsabilità. In un solo anno abbiamo perso ogni tipo di guida istituzionale, dal Presidente di Regione al Commissario alla Sanità. Siamo stati alla deriva, non come sempre, ma un po’ più del solito. E non senza responsabilità.

Ed oggi, che gli ospedali fatiscenti non si vedono più ad ogni talk-show in prima serata, il “problema Calabria” è svanito. Siamo stati alla ribalta per qualche settimana, e ci torneremo solo al prossimo scandalo, o alla prossima intervista televisiva andata male.

Anche questo è un dèjà-vu, che ci ricorda di essere una “terra da conquista”, incapace di trovare soluzioni stabili e durature nel tempo ma pronta ad accogliere, di volta in volta, un “condottiero”, colui che miracolosamente dovrebbe aggiustare tutto e portarlo alla normalità.

E non è un caso che proprio in vista delle prossime elezioni, i possibili “salvatori” della Calabria si siano moltiplicati: un vero e proprio bestiario che annovera nomi come Sgarbi, De Magistris, Polimeni, Giletti… addirittura Barbara D’Urso! Alcuni hanno successivamente smentito (per fortuna), altri si tengono in un’opportuna zona d’ombra prima di esporsi.

La Calabria sembra sempre di più una passerella, dove ognuno si sente autorizzato a dire qualunque cosa, chiamato in causa alla minima evenienza. Una passerella dalla quale è facile salire e scendere, tanto per volontà propria che per quella altrui.

Noi che ci viviamo, invece, in Calabria, la passerella la vediamo dal basso. Noi continuiamo a vedere le strutture fatiscenti, le lentezze, le mancanze di prospettive, le difficoltà concrete. E nel mentre, assistiamo a continue sfilate, chiacchiere, parole.

Se nel 1975 il “primato della politica” era la credibilità, oggi dovremmo chiederci se esiste ancora un primato politico. Perché ci affacciamo al 2021 con gli stessi problemi di sempre e con le stesse promesse di cambiamento, di “rivoluzione”, addirittura con gli stessi programmi.

E anche queste, ormai, sembrano - o sono - dei meri dèjà-vu.