Il Qohelet al centro della giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei. Rinnovare il gusto di parlare in assemblea

Non ci poteva essere migliore coincidenza di questa che affrontare assieme, ebrei e cattolici, le domande che ci vengono da questo tempo di dolore e di morte con il libro di Qohelet. Infatti, proprio questo libro mette in discussione il senso della vita davanti al comune destino della morte. Scrive William P. Brown nel suo commentario: “Qohelet è un prodotto dello Zeitgeist (ndr: “spirito del tempo”): un’era di malinconia e di interrogativi, una cultura di morte e di disillusione” (Qohelet, Claudiana, 2012, p. 19).


di Mons. Ambrogio Spreafico*

La pandemia ci ha afflitto ponendoci di fronte alla morte e alla fragilità dell’essere umano, che si è trovato a fronteggiare un male inatteso, mostrandosi impreparato e privo dei mezzi necessari per sconfiggerlo alla radice, nonostante i progressi della scienza. Quel sapere, che sembrava renderci padroni assoluti del creato, ha faticato e fatica ancora a opporsi a questo virus.

Mentre speriamo che presto vengano trovati un vaccino o una cura adeguata per contrastare il virus, sentiamo la responsabilità personale, nei comportamenti e nei pensieri, di far sì che la pandemia si fermi e che i suoi risvolti negativi sulla vita sociale e economica non si aggravino. Abbiamo capito meglio che non saranno i muri a salvarci, ma il remare insieme – come ha detto papa Francesco – nella stessa barca che affronta questa tempesta. Da soli non ce la facciamo.

È il limite della sapienza, a cui fa riferimento Qohelet fin dall’inizio quando parla della vanità delle cose create e anche della fatica umana nella ricerca del vero, in cui tuttavia crede:

“Mi sono proposto di ricercare ed esplorare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo. Questa è un’occupazione gravosa che Dio ha dato agli uomini, perché vi si affatichino” (1,13).

È significativo che nell’anno liturgico ebraico questo libro venga letto durante la festa di Sukkot, vale a dire la festa delle capanne: richiamo della fragilità e della precarietà dell’esistenza, certo alleviata dalla presenza della Torah, che dà gioia a chi la accoglie e la pratica.

Così noi, esseri umani, nella precarietà e nella sofferenza condivise in questo tempo abbiamo perseverato nella ricerca di Dio per riscoprire il senso della vita e la protezione nella fragilità, come fece il Qohelet. In questi mesi è continuato il prezioso lavoro del gruppo ebraico-cattolico sulla presentazione dell’ebraismo nei testi per l’insegnamento della religione cattolica, come sono continuate a distanza conferenze e incontri di dialogo tra ebrei e cristiani.

Il lavoro sui libri di testo dovrebbe aiutare a un’ulteriore riflessione sull’insegnamento dell’ebraismo nelle facoltà teologiche. Ci si dovrebbe chiedere in che misura si dà spazio a un serio studio dell’ebraismo nei suoi fondamenti e nella sua storia millenaria. Il dialogo ebraicocristiano non può prescindere dalla conoscenza dell’ebraismo come realtà vivente oggi e non solo come necessaria “radice” della fede cristiana.

La recente traduzione dello studio di Anders Gerdmar (Bibbia e antisemitismo teologico, Torino, Paideia-Claudiana 2020) mostra con chiarezza come l’insegnamento teologico ed esegetico abbia contribuito allo sviluppo dell’antisemitismo nel secolo scorso con le conseguenze ben note che portarono alla Shoah. In questo senso l’ebraicità di Gesù, ormai riaffermata unanimamente, ci costringe a misurarci sulla tradizione ebraica quale si è manifestata nella cultura e nella vita delle Comunità ebraiche nate e vissute con noi lungo i secoli fino ad oggi.

Siamo ancora troppo abituati a considerare il dialogo con l’ebraismo come un fattore che si limita al confronto sul Primo Testamento e per gli ebrei sul TANAK, come se l’ebraismo ci interessasse solo per questo rapporto intrabiblico. Se “siamo spiritualmente semiti”, come ebbe a dire Pio XI, rimane aperta la domanda su cosa significhi oggi per la nostra fede questa radice. Nel tempo del distanziamento, a causa della pandemia, il dialogo non si è interrotto e ha usufruito della possibilità offerta dalla comunicazione digitale.

*Vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino; Presidente della Commissione Episcopale per l'ecumenismo e il dialogo