Gratteri infrange l’ambiguo duopolio Cesa-Talarico ultimi capi tribù del vecchio centro democristiano

21 gennaio 2021, 16:30 100inWeb | di Vito Barresi

A dire il vero, per smettere di sopportare menzogne da testata online di giornalistico blasone di famiglia, il suo profilo non è mai stato così basso come adesso. Impigliato nella rete della legge, sempre a caccia di qualche politico spazzatura da buttare nella pattumiera della differenziata, il suo era fin prima dell'arresto in casa, consegnato pro manibus dagli agenti della Distrettuale Antimafia di Catanzaro, piuttosto il curriculum di un Vip, una persona in vista e che conta nella società per bene di questa strana Calabria ammantata nel suo privèe, coperta dal separé delle pubbliche virtù, che non sempre protegge da cimici che ascoltano, talpe che occhieggiano, infestata dal virus della corruzione, della malavita ‘ndranghetista, della concupiscenza e della simonia su ogni tipo di carica elettiva.


di Vito Barresi

Cronaca di un sodalizio che stava sfiorando l’anniversario delle nozze d’oro, quello che ha unito da sempre Francesco Talarico, commercialista lametino e politico professionista, e Lorenzo Cesa, parlamentare de la Roma nostra sempre capoccia, quel bell’uomo che frequentemente scende dal cielo della capitale e atterra, sobrio e schietto come sull’eliporto del suo ranch calabrese, sulla pista di Lamezia Sant’Eufemia, pronto vengo a prenderti stasera con la mia Torpedo Blu...

Bei tempi, stagioni indimenticabili, vittorie alate, e quante riunioni passate sui comodi sofà di qualche hotel a ritrovarsi 'vis à vis’ con questo bel signore affettato e distinto, il tutto damerino lametino noblesse oblige, che per quanto timorato di facciata, sarà stato pure di sghembescio, nascondeva dentro se stesso ben altro Francesco Talarico, che oggi i magistrati inquirenti descrivono personalità doppia, nel sommerso oscura, a quanto si apprende nel faldone aperto in procura, almeno fin qui in forma d’accusa tutta da dimostrare, semmai al più presto, per non sgualcire l’onore di due uomini probi sempre al servizio delle istituzioni democratiche, presto nell'immediato dibattimento processuale per la libertà, impietosamente imposto dall’inchiesta giudiziaria del dr. Gratteri (QUI).

Vergogna e tormento personale e politico, della dignità dell’uomo e della propria storia, per quello che già chiamano i due “onorevoli di basso profilo”, di cui uno, il Talarico sempre cinto di augusti incarichi, capace di performances elettorali di grande spicco, persino soppesate in numero di 8.473 preferenze, eletto in Consiglio regionale per la terza volta consecutiva nella lista dell’Udc, vero recordman della scheda nella circoscrizione di Catanzaro, per come si legge nel trasparente sito del nostro immacolato Consiglio Regionale.

La carne è debole ma alle volte non per uno qualunque. Che qui si tratta a verbale di un parlamentare che si era detto “responsabile” e di un ex Presidente del Consiglio Regionale all'epoca di Peppe Scopelliti, tornato a fare per il bene della Calabria e della sua Lamezia, centro di comunicazione, innovazione e politica inquinata, non l’assessore qualunque ma quello principale delle Finanze della Regione Calabria, modello benemerito comandante Ultimo, scienziati e uomini di polso, l’indimenticabile giunta regionale della Santelli.

Siamo tutti qui, alla Braccobaldo Show, per sapere: che farà oggi il funambolico nostro inviato speciale alla regione Michel Sperlì in diretta da telepiana, dopo l'arresto del Talarico, in breve di un ‘centrista’ delle larghe intese; resterà zitto zitto a Rete Quattro o invocherà sollecita pietà cristiana verso un più che modesto cattolico di provincia che con questi chiari di luna avrebbe altrimenti da emendare peccati gravi in confessione ai sensi del Catechismo della Chiesa?

Un nicastrese di nascita ma democristiano di giovanile formazione, che è rimasto nei pressi dell’offertorio della balena bianca, non si sa bene ancora se per custodirne i valori popolari e degasperiani oppure per mero opportunismo di casacca, ovvero per raccogliere la consistente e dilapidata rendita di posizione di un ancora radicato, saldo e persino ‘insospettabilmente’ vasto bacino elettorale cattolico.

Mondo ctonio della politica di estrema periferia meridionale che sa far miracoli, solo apparentemente “in sonno” nel catanzarese e nelle altre province calabresi, popolato da molti anziani, fedeli arcaici che mai cambierebbero simbolo di bianco fiore, devoti della liturgia politica ecclesiastica, dal piccolo clero impaurito dall'avanzata peccaminosa del modernismo di centro-sinistra, compreso qualche più abile prelato che sa ascoltare i postulanti in anticamera e, perché no, da tanti elettori che credono ancora nella possibile rinascita di un vero, forte e orgoglioso partito cattolico o dei cattolici in Italia .

Cesa e Talarico, ma lo sanno tutti, hanno giocato a porta libera con questi simboli e attrezzi semantici, trasformando l’Udc in un proprio “partito domestico”.

Modificandolo, nemmeno tanto impercettibilmente, in un sodalizio d’élite, un circolo chiuso e ristretto, molto meno idealistico degli statuti ma più pragmatico e concreto, ai sensi degli articoli della propria Costituzione materiale, in una strana sigla centrista con sfondo a scudo crociato, che, dopo l’abbandono di Follini, Casini, ecc., monopolizza a fini di mediazione centrista la vita politica regionale, posizionando il proprio 6 per cento dritto nel cuore della cabina di regia del potere politico a Germaneto e a Palazzo Campanella, che per i “potenti” ha il volto dei ricchi e agiati conservatori e per i “pezzenti” quello plebeo dei favori, delle raccomandazioni e del voto di scambio.

Che in Calabria si vota ancora questo ambiguo partito, coacervo di interessi e carrierismo denominato Udc, rivolgendosi sempre sottovoce a uomini e donne con forti agganci nel potere pubblico, non dovrebbe sorprendere più di tanto.

Fenomeno che per essere catalogato, non già una bizzarra stranezza, ma una sospetta anomalia ha richiesto tempo anche da parte di chi sa le cose, o che si è attardato fin troppo sonnacchiosamente, evidentemente, a fare piena luce sugli intrecci all'ombra di questi altarini imbiancati.

Anche se, peraltro, si continua a far fatica, specialmente nel mondo giornalistico e dell'informazione, sconfinando talvolta in quello di conduttori televisivi e tele predicatori arrabbiati, dove al posto delle verità spesso circola il conio delle menzogna e dell’ostracismo, del perché mai nessun giornalista che conta se l'è guastata con il duopolio Cesa-Talarico, cioè senza che mai abbia fatto specie che questa Udc è sorprendentemente l’unica forza politica della diaspora democristiana e popolare in Italia a portare nelle proprie sedi domiciliari un tondo risultato non da prefisso telefonico.

Per capire poi perché da decenni si registra cotanto “accalorato” accanimento da parte di un Cesa, che certo non è Luigi Sturzo né Rumor, Marcora né Andreatta, verso i “problemi” della Calabria, basterebbe solo scandagliare meglio e attentamente nel rapporto tra i capi dell’Udc e l’ambiente giornalistico, dalle grandi firme ai portatori d’acqua al mulino altrui, nel mondo della stampa e dell’informazione calabrese, dove si è sedimentato ormai da molti decenni un “legame organico” tra i centristi di varia sigla e quei giornalisti che controllano il flusso quotidiano delle notizie sia a mezzo stampa ma oggi soprattutto ‘online’.

La nuova inchiesta giudiziaria di Nicola Gratteri va dentro il labirinto di queste connessioni, le evoca e le sollecita, come quando si parla di tv e ’ndrangheta ma anche di servizi deviati e logge coperte che fanno viaggiare su testate online i propri messaggi trasversali e monitori, scuotendo bruscamente il fondamento del potere opaco che ha travolto l’Udc dominata dal duopolio Cesa-Talarico.

Un partito che, evidentemente, è apparso agli inquirenti piuttosto come una ben attrezzata agenzia specializzata a giocare sul mercato politico tra Roma e Catanzaro, con tecniche moderne, spietate, illegali e borderline, monopolizzando quel che è rimasto del blocco elettorale, lo zoccolo duro affezionato alla nobile memoria dello scudo crociato, magari ancora all’ombra di tante dimenticate parrocchie di sperduti borghi e paesi.