Filippo, Luciana e la bambina una storia d’amore finita nelle Foibe. Il martirio di un Carabiniere Partigiano fucilato per la Patria

9 febbraio 2021, 22:30 100inWeb | di Vito Barresi

Se ne potrebbe ricavare un film leggendo la sua vita tutta sunteggiata nella stele che ricorda il capitano Filippo Casini, il carabiniere partigiano trucidato e martire con la moglie e la figlioletta. E metterci dentro anche una colonna sonora, un tema musicale, che solo un artista che conobbe l’identico dolore dei famigliari poteva scrivere col Rimmel delle note tra le pagine chiare e le pagine scure. D’altra parte a che serve mai la retorica quando storia si scrive fedeltà, quando coraggio significa scelta e la parola patria amore, fino all’estremo sacrificio della propria esistenza?


di Vito Barresi

Se un regista un giorno ne farà una fiction il volto del capitano Filippo Casini sarà un’immagine splendente nell’oceano di pace di Basovizze. Una faccia eterna perchè affettuosa, dolcissima perché giusta, luce temperata nello specchio dell’amore che a lui per sempre legò in vita e morte la moglie Luciana.

Loro furono i raggi di luce e verità che trasformarono le fioche testimonianze di quanti vennero chiamati bugiardi, le candele personali della memoria che vennero frantumate dal realismo sovietico e dalla doppiezza togliattiana dei comunisti italiani, in lampade collettive rimaste, comunque, accese sulle pagine d’orrore, silenzio e rimozione che raccontavano a voce senza stampa a favore il dolore immenso delle Foibe, dell'istria e del mai sopito irredentismo tricolore.

Memoria di un patriota ed eroe dell’Arma caduto nelle Foibe per l'Italia e la Libertà. Medaglia d’Argento al Valor Militare, il capitano dei Carabinieri Filippo Casini, Comandante della Compagnia di Pola, fu patriota e antifascista, fucilato dopo un processo farsa intentato contro di lui da una cellula di partigiani comunisti obbedienti agli ordini del vicino esercito straniero al comando del dittatore jugoslavo Maresciallo Tito. Aveva compiuto da poco trentanni, era nato a Genova, il 26 maggio 1914, venne gettato senza pietà in una ‘foiba’ a Bainsizza del Carso, Trieste, il 14 agosto del 1944, insieme alla moglie Luciana e alla figlioletta appena in fasce.

Il suo era stato un passo coraggioso, non azzardato ma fiducioso in altri che lo tradirono vilmente. Passato l’8 settembre,restò in Istria mettendosi in contatto con le forze partigiane slave. Il 5 luglio del 1944, con altri 69 militari del suo reparto, Casini decise di abbandonare la caserma di Pola con l’intento di creare un forte movimento italiano in Istria, per concorrere col IX Corpus titino alla cacciata dei tedeschi.

Tutto rispondeva allo spirito di servizio, abnegazione e altruismo che sta nei cardini dell’Arma, vanto della Benemerita per generosità instancabile messa in campo tra le frontiere di una guerra ingiusta che segnava di atrocità e sofferenze le popolazioni italiane dell’Istria, della Dalmazia, delle provincie di Trieste e Gorizia.

Città, paesi, contrade, comunità pacifiche e laboriose schiacciate dalla violenza ‘di preponderanti forze ostili che rivendicavano la sovranità su quei territori', stretti nella morsa di un’immane tragedia che comportò la decimazione di migliaia di cittadini italiani, il drammatico esodo delle popolazioni Giuliano-Dalmate, un susseguirsi martellante di tragici avvenimenti in cui oltre 250 carabinieri chi si immolarono per la difesa di quei martoriati territori sul confine orientale italiano, tra il 1943 e il 1947.

Il progetto del Capitano Casini era quello di dare peso alla Resistenza italiana contro gli invasori tedeschi e jugoslavi, formando un gruppo partigiano in Istria, con l’obiettivo di permettere nelle trattative di pace, la presenza di un autentico movimento partigiano autonomo, fermando la massiccia spinta annessionistica della nuova Jugoslavia. Ma i comunisti slavi, e purtroppo anche italiani, lo misero di fronte all’aut-aut: o con loro o contro di loro, o con Tito o con l’Italia.

Filippo, Luciana e la bambina vennero trucidati. Umili e semplici patrioti, altro che banditi, nemici, fascisti e quant’altro di tristemente odioso. Il Giorno Nazionale del Ricordo sia d’imperituro monito per tutti. Specie per chi non ammise i delitti politici ma li nascose per tornaconto e opportunismo di partito.

La memoria non serve solo a riconoscere il delitto, ma anche ammettere l’errore, il peccato, che fu genocidio e omissione. Da parte di quanti cinicamente nascosero al Paese e al mondo intero un massacro che fu commesso in nome del comunismo, la strage degli italiani innocenti uccisi e dimenticati nel baratro del sortilegio e della doppiezza ideologica dello stalinismo dominante.

Una macchia indelebile e imbarazzante che deprezza l’album di famiglia del sempre trionfante e progressivo comunismo italiano, fin troppo rapido nella cancellazione di ciò che si voleva oscurare per sempre, facendo aggio ai trastulli falso moralistici di certa ignobile sinistra nazionale.