È ambientato in una Calabria intesa come ponte tra l’Europa del X secolo e la madre Africa il primo poema epico - chanson de geste - dove un giovane Rolando viene iniziato all’arte e ai misteri della cavalleria medioevale. È sulle coste calabresi della città di Risa (Reggio) che Rolando conquista la consapevolezza del suo inevitabile destino di eroe... ma i calabresi non lo sano.
di Natale G. Calabretta
È davvero singolare che una tra le più grandi opere della letteratura medioevale normanna, la Chanson d’Aspremont, non trovi adeguata pubblicazione e traduzione in Italia (fa eccezione una selezione di passi scelti a cura di Marco Boni apparsa a Bologna nel 1977 per i tipi Patron).
Ciò è tanto più curioso se si pensa che essa ha come teatro proprio l’estrema propaggine della Penisola. In questa chanson de geste ritroviamo i tematismi classici dell’epica cavalleresca che hanno appassionato nel corso dei secoli tanti lettori.
La Canzone d’Aspromonte è attualmente tradotta in francese ed inglese e ciò la rende, di fatto, accessibile esclusivamente per un pubblico colto: sarebbe però necessaria una edizione che restituisca alla gente comune un pezzo d’identità culturale nazionale, tanto più che gli spunti narrativi che essa contiene sono universali e perciò sempre attuali.
Nella Chanson troviamo descritta una regione, la Calabria, vista da una angolazione davvero inedita che ci spinge a confrontarci con una fase temporale, quella dell’età normanna, poco nota.
Consegnare al grande pubblico - si pensi agli studenti delle scuole - questo capolavoro epico del Medioevo significa riflettere su un momento storico nel quale andavano costruendosi le identità nazionali e i valori della cristianità contro le minacce pressanti dell’oppressione saracena.
Le imprese cavalleresche, tanto richieste e tanto narrate nella recente e disneyana letteratura fantasy, trovano in quest’opera la valenza letteraria e la profondità storica secondo schematismi propri dell’epoca e dei cantori normanni.
Quella stessa profondità diacronica che permette di superare il vetusto monopolio culturale ellenocentrico secondo cui la regione è indissolubilmente legata ai soli fasti della grecità.
Il recupero di identità è anche ritorno alla giustizia: ecco il monito della Chanson.
L’eroismo e la rettitudine del cavaliere Ruggiero, che sfugge alle lusinghe del potere promessogli prima della singolar tenzone contro il figlio di Agolante, sono ambientati nel territorio della città di Risa (Reggio) che le cronache contemporanee ricordano purtroppo quasi sempre legato ai soli paradigmi dell’illegalità.
Una occasione, quella di uno studio e di una divulgazione sistematici ed organizzati della Chanson d’Aspremont, di poter porre la Calabria all’interno di un ciclo di cultura più ampiamente continentale svincolandola dallo sguardo quasi esclusivamente volto al bacino del Mediterraneo.
Quindi si tratta di una ricollocazione della Calabria, della sua storia e dei suoi simboli e significati, sia di tipo storico che di tipo geografico, una ricontestualizzazione temporale e spaziale: una Calabria che non vive di sola memoria classica e che è (forse si direbbe “finalmente”) parte integrante di uno stile culturale più prettamente europeo.
Ritornando quindi alla suggestione iniziale di questa breve parentesi, risulta in fine chiaro il perché l’esigenza di tradurre in francese ed in inglese un poema epico calabrese sia stata più urgente di quella di tradurlo in italiano e ancora prima di renderlo popolare presso i calabresi stessi: forse perché, perseverando in un errore millenario, le genti di Calabria non hanno avvertito l’enorme responsabilità di sentirsi partecipi e protagonisti in un progetto di cultura europea.
Una opera come la Chanson d’Aspremont, che sarebbe giusto definire di “integrazione”, non è un caso che trovi spunto in poetiche e narrazioni dai forti contenuti morali e civili, di cavalleria di gesti e di nobiltà d’animo, tipici tratti narrativi delle chanson de geste, valori questi che forse un certo atteggiamento levantino riluttante alle regole di una Comunità, e una arrogante fiducia nella propria superiorità intellettuale infarcita di ellenismo classico di maniera e ormai totalmente, o quasi, svuotato di contenuti civici e civili, hanno finito col penalizzare la popolazione calabrese e la sua cultura mai realmente integrate in una Europa che pure hanno visto nascere nel nome e nell’idea.