Il Governo Draghi ha disposto il rinvio al prossimo mese di settembre/ottobre della data dell’elezioni del Presidente della Regione e del Consiglio regionale della Calabria. La condivisibile scelta di posticipare il turno elettorale segue l’analoga decisione assunta dal precedente esecutivo c.d. Conte II, che dallo scorso febbraio aveva differito la consultazione elettorale al prossimo mese di aprile.
di Giuseppe Napoli*
La ragione è la medesima: non è possibile far svolgere le operazioni elettorali in costanza di emergenza sanitaria da coronavirus, in quanto le attività che precedono la presentazione delle liste (predisposizione delle candidature, raccolta delle firme, ecc ) e quelle successive (campagna elettorale, comizi, assemblee pubbliche, incontri, votazioni) comporterebbero, per le imprescindibili modalità esplicative, necessariamente il coinvolgimento di una moltitudine di persone creando inevitabili assembramenti, assolutamente sconsigliati per effetto di pandemia da Covid-19.
Il rialzo della curva del contagio e la temuta terza ondata, unitamente alla registrata preoccupante crescita dei ricoveri nei reparti di terapia intensiva degli ospedali hanno, opportunamente, consigliato di rinviare la prevista finestra elettorale amministrativa della prossima primavera, che avrebbe prevedibilmente registrato, anche per le anzidette ragioni, una ridotta partecipazione popolare al voto.
La presente situazione sanitaria, purtroppo, si annuncia non agevolmente superabile, seppur il ricorso al vaccino sembri temporaneamente mitigarne gli effetti. Di talché non si potrà escludere che, anche in futuro - e sino a quando non interverrà, varianti permettendo, l’immunità di gregge - possa riproporsi in forme differenti un’analoga diffusa epidemia.
La circostanza, tuttavia, offre lo spunto per tornare su un tema da tempo espunto dal dibattito politico in Calabria ed altrove. Mi riferisco alla scelta adottata da tutte le Regioni italiane - con la sola eccezione della Valle d’Aosta - di far eleggere il Presidente direttamente dal corpo elettorale, e non invece dal Consiglio regionale come era accaduto sino alle elezioni regionali del 2000.
Il legislatore costituzionale (L. cost.1/99) aveva, infatti, previsto che a far data dalle elezioni regionali del 2000 gli elettori avrebbero eletto direttamente il Presidente delle Regioni, sottraendone così il potere ai consiglieri regionali, e di fatto espropriando il Consiglio della sua funzione centrale e decisiva, riservando alle nuove assemblee regionali di scegliere la forma di governo (e dunque, la modalità di elezione del Presidente della Regione ed il rapporto tra quest’ultimo e la Giunta e il Consiglio) - e quindi anche in deroga agli artt.122 e 126 Cost.
I Consigli regionali eletti nel 2000, con la nuova formula del “aut simul stabunt aut simul cadent” (così insieme staranno cosi insieme cadranno - il venir meno del Presidente della Regione per morte, dimissioni, rimozione, impedimento permanente, approvazione di una motivata mozione di sfiducia, da luogo automaticamente allo scioglimento del Consiglio regionale), non ebbero la forza, atteso l’evidente sbilanciamento di potere in favore del nuovo Presidente eletto direttamente, di tornare alla previgente normativa che assegnava alle assemblee e, dunque, ai consiglieri regionali ruoli di centralità politica nelle dinamiche istituzionali, sicché i nuovi Statuti previdero che la modalità di elezione fosse quella diretta di elezione del Presidente.
In fondo le Regioni finivano per accogliere un sistema di voto riconducibile allo schema di elezione diretta dei sindaci che, specie quelli delle grandi città, a partire dal 1993 giunsero ad assumere una visibilità sino ad allora sconosciuta.
A dire il vero la Regione Calabria, per prima tra le Regioni, nel corso del 2003 aveva tagliato il traguardo dell’adozione del nuovo Statuto ed optato per l’elezione diretta del Presidente e del Vice Presidente, il quale ultimo sarebbe succeduto al primo in caso di dimissioni volontarie, incompatibilità sopravvenuta, rimozione, impedimento permanente o morte, non anche in ipotesi di approvazione di mozione di sfiducia da parte del Consiglio. Su tale previsione il Governo ebbe a sollevare questione di legittimità costituzionale - verrebbe oggi da dire, ancora una volta, purtroppo - per violazione degli artt. 122, ult. co. e 126 terzo co. della Costituzione, in quanto ritenuta elusiva del principio “simul …. simul”. In accoglimento del ricorso presentato dal Governo, la Corte costituzionale dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 dello Statuto regionale, approvato in seconda deliberazione il 31 luglio 2003, in tal modo, di fatto, riducendo la potestà statutaria in materia di forma di governo regionale alla secca alternativa tra elezione del Presidente della Regione da parte del Consiglio ovvero a suffragio universale e diretto.
La Calabria ha già conosciuto lo scioglimento anticipato del Consiglio regionale, per effetto delle dimissioni dell’allora Presidente Giuseppe Scopelliti nell’aprile del 2014. Nell’occasione, tuttavia, le elezioni si tennero a novembre dello stesso anno.
Oggi la situazione si presenta più complessa e delicata perché le elezioni regionali non possono svolgersi per ragioni non contemplate nello Statuto regionale, ma per effetto di gravi ed incombenti motivi igenico-sanitari, condizione mai verificatasi in passato né configurata nelle disposizioni normative di riferimento elettorale, e tuttavia cogente come nessuna mai.
La Calabria, dunque, incrocia un immobilismo istituzionale - al netto di valutazioni politiche - che non è solo diretta conseguenza dell’impossibilità, per le cennate ragioni, di tornare presto alle urne per eleggere il nuovo Presidente e il nuovo Consiglio regionale, ma anche l’effetto dell’impossibilità di oltrepassare l’ordinaria amministrazione degli affari correnti - l’unica praticabile dagli organi regionali, Consiglio compreso, sino al rinnovo delle cariche elettive - attesa la virtuale conclusione della legislatura regionale.
L’attuale condizione si protrae dall’ottobre scorso, a seguito della prematura scomparsa della Presidente Jole Santelli, e si prolungherà sino al prossimo ottobre - data presuntivamente indicata per lo svolgimento della competizione elettorale regionale calabrese - incrociando così il più importante e cruciale appuntamento della storia recente della Regione Calabria: Recovery Fund (Next Generation Eu).
L’assenza di una guida politica ed istituzionale, legittimata dal voto elettorale, pesa come un macigno sulla autorevolezza delle scelte che potranno essere avanzate.
Il Recovery Fund – per l’ingente volume di risorse economiche (209 miliardi di euro) di cui l’Italia disporrà nei prossimi anni in conseguenza del sostegno finanziario stanziato dall’Unione Europea per la ripresa economico-sociale dopo i devastanti effetti della ancora imperversante pandemia - è, infatti, unanimemente considerato l’unico e forse ultimo strumento per risollevare le sorti del territorio calabrese.
In questa fase - nella quale la Regione Calabria avrebbe la possibilità di chiamare a raccolta i centri di ricerca e le università calabresi, oltre che le parti sociali, imprenditoriali, culturali, gli ordini professionali, il terzo settore, per disegnare i suoi prossimi decenni, progettando il futuro delle nuove generazioni, sanando le ferite inferte al territorio da decenni di incuria ed individuando le nuove direttrici di sviluppo sostenibile incentrate sulla transizione ecologica, mutando così i paradigmi sui quali è stato sin qui costruita la società calabrese - la Calabria non ha voce.
Si direbbe un destino cinico e baro perseguita la Calabria.
Una condizione che penalizzerà ulteriormente il nostro territorio regionale se in Calabria, almeno sul terreno della progettualità legata al Recovery Fund, non si aprirà presto uno spazio politico nel quale raccogliere lo sforzo progettuale delle migliori energie calabresi in un convergente disegno di programmazione dello sviluppo sostenibile, una sorta di moratoria - per i superiori interessi della popolazione - rispetto allo scontro elettorale prossimo venturo. Il dibattito, che è auspicabile si sviluppi al riguardo, potrà individuare gli strumenti politico-istituzionali più congeniali alla straordinarietà della fase e all’eccezionalità del momento storico-politico.
La condizione, tuttavia, apre interrogativi sulla bontà delle scelte legislative in materia di forma di governo regionale, assunte all’epoca anche da chi scrive, con l’attenuante che in Calabria avevamo provato a declinare i rapporti di tra gli organi regionali di governo, si dà garantire una (più) sicura stabilità.
Una riconsiderazione dell’istituto, delle sue regole, credo s’imponga, anche in considerazione del fatto che le Regioni hanno ormai superato il mezzo secolo di vita, un tempo sufficiente per trarre un primo bilancio dei limiti manifestati e delle disfunzioni palesate, un accumulo di “scorie” che meriterebbe un tagliando.
*già Consigliere regionale della Calabria