Il Pomodoro di Belmonte e la Transizione Ecologica. Tra cibo e gusto quale futuro per l’agricoltura calabrese?

17 marzo 2021, 11:45 100inWeb | di Vito Barresi

Se non ora quando? Adesso è tempo di imboccare, con decisione e consapevolezza, la strada della Transizione Ecologica per l’agricoltura regionale puntando massicciamente sul gigantesco patrimonio della biodiversità e qualità calabrese. La pesante e prolungata crisi di sistema provocata da Covid-19 ha fissato per sempre una sequenza nell’immaginario collettivo universale. Quasi un'immagine latente, quella che lega la pandemia alle lunghe, silenziose e tetre file di uomini e donne davanti ai grandi supermercati. Gente anonima, impaurita, che aspetta il proprio turno per l’approvvigionamento alimentare personale e delle proprie famiglie. Fame, miseria e malattia, virus e cibo, pane selvaggio e corsa all’accaparramento.Il passato di tanti anni fa? E’ probabile che sulle tavole imbandite del mondo che verrà dopo la pandemia si troveranno molti ‘nuovi’ cibi del ricordo. Tra questi ce ne potrebbero essere tanti 'made in Calabria'.


di Vito Barresi

Perchè no, si può anche innovare radicalmente il paradigma produttivo dell’agricoltura del Mezzogiorno partendo dal’immenso giacimento della biodiversità e delle eccellenze, farsi orientare dal vento che accarezza le terrazze collinari affacciate sulle coste tirreniche cosentine, dove sorge il suggestivo borgo di Belmonte Calabro, patria del ‘quadrumviro col frustino', fondatore insieme a Mussolini del PNF, Michele Bianchi, ma poi paese conosciuto piuttosto per il “pomodoro di Belmonte” che si onora della De.C.O. Denominazione Comunale d’Origine.

Il “pomodoro di Belmonte” è quello che l'emigrante Guglielmo, tornato dall’America alla fine dell’Ottocento, piantò i semi nel territorio locale. Tipica la sua venatura rosa, venuta fuori dopo un certo periodo di coltivazione in loco, e poi di diffusione anche in areali di coltivazione, con contaminazioni e imitazioni.

Da sempre, nei testi religiosi e nella letteratura, dai romanzi alla storia, si racconta lo stretto legame tra pestilenza e carestia, con paginate di tragedie e dolore patrizio e plebeo, vicende ed episodi quasi sempre preludio di titaniche trasformazioni produttive nel settore primario dell’agricoltura, nei rapporti di produzione e nelle classi sociali, nell'assetto della proprietà fondiaria, nella piccola proprietà contadina, nei modi e nelle qualità delle principali coltivazioni che riforniscono la catena alimentare dell'umanità.

La premessa mi sembra necessaria non solo per attualizzare il mio ritaglio narrativo, quanto per proporre anche un più semplice ragionamento sulle scelte che all’economia, alla società e alle istituzioni politiche a ogni livello di governance territoriale, si pongono già oggi, e con questo invitare a leggere i fatti e analizzare attentamente quali sono stati concretamente gli effetti della pandemia sull’assetto produttivo dell’agricoltura mondiale, europea, italiana, mediterranea e, infine, calabrese.

Per restare nell’ambito di una regione agricola, apparentemente periferica e marginale, rispetto ai grandi mercati globali, quasi quasi la Calabria godrebbe, in questa imminente fase di ripresa, di alcuni piccoli ma importanti ‘plus’ agro-alimentari che la posizionerebbero positivamente nella rinnovata mappa delle specificità e specializzazioni agronomiche e alimentari mondiali.

Per dirla con la frase di un grande storico dell’economia agricola calabrese, Giuseppe Brasacchio, autore di una ampia 'Storia Economica della Calabria’, adesso che siamo sul ciglio della nuova ’era' della Transizione Ecologica, sarebbe d'uopo domandarsi quali saranno i nuovi orizzonti per l’agricoltura calabrese.

In breve, quali politiche pubbliche regionali bisognerà elaborare e deliberare per riqualificare il prodotto agricolo calabrese, la coltivazione di terre di buona vocazione e alta qualità, la tutela del germoplasma agricolo, specialmente in montagna e collina, oltre che nella inestimabile doppia fascia pedoclimatica costiera, la marina jonica e quella tirrenica, per tornare rapidamente a investire bene in un comparto, strategico, con adeguati piani di sviluppo e sostegni per l’agricoltura.

A Bruxelles, ma pure in altri importanti istituti di ricerca e innovazione europea, si sta già studiando una revisione integrale della Politica Agricola Comunitaria, puntando dritto sull’attivazione di una solida rete regionale e territoriale, che sia pilastro e presidio di una straordinaria e avvenincete "Riforma agroecologica delle campagne euromediterranee".

E’ questo il sentiero robusto per l’agricoltura regionale, il punto di svolta per superare la logica ormai inquinante e insostenibile del vecchio modello di industrializzazione dei campi e della catena produttiva alimentare. Occasione da non sprecare per una piccola quanto preziosa nicchia dell’agricoltura mediterranea, l’economia primaria millenaria bruzia e magno greca, la geografia agricola di una Calabria, che ha bisogno di aprirsi con rinnovato slancio all’epoca nuova della Transizione Ecologica.

Un passaggio epocale che dovrebbe puntare alla valorizzazione delle varietà e delle produzioni tipiche, per arginare l’impoverimento genetico degli impianti, recuperando l’ampio patrimonio a disposizione di variabilità quasi inesauribile, tenuto conto che sommano a 7000 le specie vegetali utilizzabili dall’uomo per l’alimentazione, ma che ne sono coltivate soltanto 150, di cui grano, mais, riso e patata rappresentano la magna pars della produzione mondiale.

Se è un vanto per la Calabria la sua attuale produzione agroalimentare, la tipicità di alcuni cibi, il carattere quasi ‘etnico' del nostro ‘food’, molto spesso esportato anche su piazze globali del gusto, su questo ‘paesaggio' occorrerà guardare, per migliorare e valorizzare le qualità già note, elaborando un vero e proprio atlante della Transizione Ecologica agro-alimentare calabrese.

Da questo interessantissimo catalogo estraggo, e non casualmente, la piccola grande storia di un pomodoro conosciuto sui banchi dell’orto frutta con il nome di “Belmonte”, in dialetto “U Pimmaduaru e Bellimunte”, che si differenzia da altri pomodori simili, per la sua dimensione e per le notevoli caratteristiche qualitative ed organolettiche, dovute principalmente alle particolari condizioni climatiche e alle peculiarità dei terreni che rendono questa area ideale alla sua coltivazione.

Grazie a un opuscolo redatto dai divulgatori Agricoli dell’Arsac, Area di Amantea, possiamo conoscere le qualità di questo gioiello della terra coltivato in piena aria, ed in particolare dell’ecotipo “Cuore di Bue” su cui scrive in premessa, molto opportunamente, uno degli esperti più qualificati dell’agricoltura calabrese, Bruno Maiolo, attento "all’importanza che la coltura riveste per il territorio su cui l’Arsac, grazie anche alla collaborazione degli imprenditori agricoli del Comune di Belmonte che hanno consentito di poter effettuare i rilievi all’interno delle loro aziende, ha realizzato uno studio sugli aspetti morfologici e colturali del pomodoro coltivato in piena aria, ed in particolare dell’ecotipo Belmonte Cuore di Bue”, poi riportato in pubblicazione grazie alla cura del dr. Giuseppe Cicero del Ce.da 9.

Da Belmonte e dalle attrattive fotografie di un frutto, una bacca succulenta e buona da mangiare, di colore verde con lievi sfumature rosa, poi, nella fase di maturazione in tinta rosa-acceso con screziature di rosso e viola, parte la spinta a non sprecare l’occasione messe a disposizione dall’Unione Europea, Recovery Fund e Next Generation Ue.