Poco più di cinque anni fa, fu Mons Antonio Staglianò a smuovere le acque immobili della causa di beatificazione di Gioacchino, pubblicando per l'Editrice Vaticana un libro, nono volume della collana "Itineraria" curata dalla Pontificia Accademia Teologica, dal titolo netto e senza equivoco, 'L’Abate calabrese. Fede cattolica nella Trinità e pensiero teologico della storia in Gioacchino da Fiore'. L’attuale vescovo di Noto meditava, e continua a farlo con sollecitudine e amorevole apprensione, sul destino e sul pensiero del dantesco 'calabrese di spirito profetico dotato', riconoscendolo orgogliosamente e puntigliosamente come uno dei più originali e saldi filosofi del Medioevo.
di Vito Barresi
L’obiettivo di quel suo importante saggio resta quello attuale di offrire una lettura innovativa e approfondita della genialità spirituale di Gioacchino, illuminandone, in trasparenza, la struttura essenziale della sua dottrina trinitaria e cristologia, anche al fine di rinnovare l’anelito e le speranze di tanti appassionati e fedeli calabresi che ne desiderano, non solo una piena riabilitazione ecclesiale, ma anche un chiarimento sul percorso di una 'dimenticata' causa di beatificazione, che batte quest'anno proprio il ventennale del relativo avvio procedurale.
Appare subito chiaro che questo libro, più che mai, risulterà innervato da tanta ‘patria’ passione per un genio della Calabria mistica e teologica, quale fu l’abate silano, non per vanagloria dei grandi del proprio luogo, ma perchè Mons.Staglianò sa sviluppare le sue tesi, con la capacità unica di chi sa tessere i suoi ragionamenti oltre che con l'assertività soggettiva, che non gli difetta, ma anche con il solido setaccio delle fonti e della letteratura di riferimento, immensa, a tal proposito.
Per cui posionando se stesso orienta il lettore lungo l’asse di un recupero profondo e non propagandistico di Gioacchino. Lo fa con il lirismo e la sapienzalità tipica della sua scrittura, riportando l’illustre conterraneo nel suo naturale alveo cristiano e dentro la contestualità morale della sua epoca.
In questo caso la missione gioachimita di Staglianò è quella, tutt’altro che marginale costretta nei limiti di uno studio su movimenti e figure minoritarie, né mero esercizio speculativo su una personalità ininfluente, di affrontare un originale lavoro di ricollocazione, inteso quale inizio autorevole di una nuova fase di attenzione e comprensione della personalità di Gioacchino e, soprattutto, della impressionante valenza ideale e portata mobilitante del gioachimismo, ripreso nella sua manifestazione di corrente mistica, seppur ecclesialmente sospetta di eresia, con gradi di penetrazione e cerchi di diffusione giganteschi, piuttosto in caratura europea che non italiana.
Che la Chiesa poi voglia riabilitare l’eretico Gioacchino da Fiore per farlo santo, non sarebbe cosa da poco. Siamo, infatti, dentro un Regno petrino specialissimo, pieno di coraggiosa ‘grazia’, che va sotto il titolo magno del Pontefice Francesco, non fosse altro per la suggestiva consonanza di epoche, oltremodo affascinanti, quali furono quelle del basso e dell’alto Medioevo in cui Francesco d'Assisi e Gioacchino da Fiore, in qualche modo e per 'via invisibile', dialogarono per corrispondenza spirituale, vuoi l'uno sulle Laudi e il Cantico della Creazione, vuoi l'altro sulle visioni escatologiche dell'età dello spirito, sullo sfondo di affreschi e paesaggi che incantarono l’arte e la pittura di quel tempo inimitabile.
Semplicemente, da par suo Don Tonino, mette a terra il primo mattone, la pietra di fiume su cui si spera possa tornare a costruirsi l’edificio architettonicamente saldo della riabilitazione e persino di una possibile beatificazione, dopo otto secoli di distanza dai fatti storici e della vita vissuta, di Gioacchino da Fiore, accusato di eresia per alcuni suoi scritti sulla fine del mondo e sulla venuta dell'anticristo.
Fu, a suo tempo l'arcivescovo di Cosenza, monsignor Giuseppe Agostino, a riaprire il processo diocesano di beatificazione e chiedere alla Santa Sede il 'nulla osta' per procedere a raccogliere tutti gli elementi necessari per la causa, sostenuto da un imponente numero di prelati di curia - dal cardinale Paul Poupard a Ersilio Tonini, dal Miloslav Vlk a Jorge Meja - aperti all'ipotesi di rileggere vita e opere di questo teologo e mistico, ingiustamente accusato di millenarismo.
L'assioma di Staglianò sgombra il campo dall’accusa non vera di eresia alla luce di una nuova interpretazione dell’opus gioachimita, da cui deriva una spassionata e puntuale rivalutazione sintetizzata nell’affermazione: “dalla Trinità ‘alla storia’ e non viceversa” e cioè: “dalla dottrina trinitaria al pensiero teologico del tempo umano adveniente e non viceversa”.
Dunque, si vuole adesso che la mente speculativa di Gioacchino vada inquadrata nella scena del suo pensare teologico e del suo immaginario profetico, in coerenza con la doctrina fidei trasmessa dalla Traditio vivens Ecclesiae nel dogma e nel culto, in cui la sua teologia non si discosta dalla tradizione.
Ecco perchè, alla luce delle metodologie ermeneutiche contemporanee, Gioacchino può essere assolto dall’accusa di ereticale per la sua evidente fedeltà alla Traditio vivens Ecclesiae nel significato radicale e integrale proprio del Medioevo:saldo ancoraggio alla Sacra Scrittura e pieno riconoscimento alla lex credendi e orandi fedelmente trasmessa dalla Chiesa e dal suo supremo magistero. Da qui il passo è stato breve per asserire che Gioacchino non fu eretico ma cattolico integralmente, rivedendo il consolidato canovaccio, ridando a Gioacchino conferma del suo ministero nella logica della tradizione monastica, connotando con fantasia figurativa eccezionale la venatura profetica.
Allora, ça va sans dire, ecco tornare in risalto l’affermazione di chi sostenne, era il 2001, durante la cerimonia d’insediamento della commissione dei periti storici, incaricata di esaminare i testi dell’Abate, che 'la beatificazione di Gioacchino da Fiore sarà epifania di libertà per la nostra gente'.
In fondo, questo studio di Don Tonino, ha il pregio di imprimere nuovo impulso alla ripresa della causa di betatificazione, confermando autorevolmente il principio per cui 'l’ortodossia di Gioacchino - come osservava il ‘postulatore’ Giuseppe Agostino – è indiscutibile e va considerata insieme a ciò che la fonda, cioè la santità di vita del Monaco. Il processo si tiene su questo aspetto, sull’eroicità delle virtù cristiane di Gioacchino da Fiore'.