Chiesa e Politica in Calabria dopo la pandemia. Tra fede e impegno quale futuro in questa Regione?

8 aprile 2021, 16:40 100inWeb | di Vito Barresi

Chiesa nel Sud dopo la pandemia, vista dallo scorcio frammentato della Calabria, margine inferiore di una crisi di sistema destrutturante, provocata da un virus che si sospetta artificiale, non naturale, quindi non calamità ma malvagità. Chiesa in Calabria che sembra aver perso la solida base di un passato 'compatto', trovandosi sola davanti a se stessa, chiusa, isolata, distanziata, senza neanche il riflesso nello specchio storico, sul vetro della memoria, quasi smarrita di fronte al compito di amministrare un’eredità millenaria, ma nella complessità di una nuova epoca che sta sorgendo proprio sulla fine di ogni certezza, qualsiasi facile prevedibilità, pronostico, calcolato riposizionamento, finanche da qui all’immediato domani.


di Vito Barresi

L’uragano lascia i segni di un’apocalisse, la devastante e pesantissima solitudine che si è imposta tra gli altari e le sacrestie. Tante croci di sacerdoti morti per il Covid, stremati dall’accelerazione del virus e dal rallentamento delle risposte sanitarie, istituzionali, comunitarie.

Oggi, dice un anziano sacerdote di campagna, siamo davanti a una primavera incerta, sospesi tra una crisi di fiducia e il desiderio di fuggire senza alcuna speranza, dopo che per oltre un anno e mezzo la popolazione, e tra questi tanti devoti e fedeli, sono rimasti sequestrati nelle proprie case, rinchiusi nei comuni di appartenenza, con diritti di cittadinanza e libertà ridotti, interi comuni prigionieri in zona rossa, abitanti muniti di foglio di via e riconoscimento come in piccoli campi di concentramento.

Siamo ad un passaggio, un ponte stretto, un sentiero insidioso e si vede, scrutando la mappa sociologica della fede in periferia, in questi ultimi lembi di un Mezzogiorno tradizionalista e rurale. L’impressione immediata di una Chiesa colpita, bombardata, assediata dalla paura del contagio, una Chiesa che qui in Calabria si è difesa rinchiudendosi in guardia, in un atteggiamento di difesa che sta tra le catacombe precristiane e le grotte degli anacoreti siriani, approdati dall’Oriente su queste abbaglianti marine.

Ma per quanto resiliente, adesso che avanza la primavera dei vaccini di stato, molti cominciano a realizzare che l’ampio e diffuso consenso maggioritario della Chiesa calabrese rischia di essere eroso, intaccato, persino perduto, a partire da subito, dai prossimi mesi.

Da qui in poi solo qualche sprazzo, quasi spunti impossibili, tentativi che si vorrebbero persino velleitari, di pensare a qualcosa di nuovo, a un linguaggio irrequieto, per impegnarsi a offrire, non solo la presenza costante e resistente della testimonianza, ma anche un progetto credibile di cattolicesimo calabrese, meridionale, adeguato alle grandi sfide del tempo, aperto al confronto, non psicologicamente sotto scacco, minoritario.

Cioè quella Chiesa che sogna di ripartire dal sociale, riprendendo in mano il destino dei cattolici in politica, come avevano fatto i preti popolari Don Carlo De Cardona e Don Antonio Nicoletti, il cui riverbero di predicazione in dottrina va fin su a Giuseppe Dossetti quanto questi avverte a 'Bailamme' che

“io non dico che ci sia una incompatibilità assoluta tra la fede cristiana vissuta con impegno e con lealtà e l'impegno politico. Non c'è una contraddizione a priori. Sono convinto di questo. Ma sono anche convinto che ci sono mille e una ragione di cautela e di condizioni difficilissime”.

Dopo il flagello di Covid-19 c'è da chiedersi, e ne parlo con un laico che vive nella grande diocesi metropolitana di Reggio Calabria, quale sarà l'annuncio della Chiesa regionale calabrese di fronte ai cambiamenti della fede in atto, cioè quale “fede” rinnovata si affermerà e prevarrà tra i cattolici di questa regione nei prossimi decenni a venire, in questi tumultuosi anni tra il 2021 e il 2050?

Chi dirà ai calabresi che è finita l’epoca dei “santi in paradiso”, piuttosto in politica che tra l’odor d’incenso, che la Chiesa è chiamata a mettersi alla ricerca di quei santi insospettabili, quelli che non ti aspetti, i santi della porta accanto, come ha detto Papa Francesco, anzi i santi degli uffici aperti, nel sociale, nell’economico, nell’istituzionale, nella politica, quella prassi di carità che parte dal Comune per poi insediarsi in Consiglio e Giunta Regionale?

Dove riscoprire la fede oggi in Calabria? In quale diverso, e profondamente purificato, rapporto tra Chiesa e Politica?

Forse, dice il mio interlocutore, questa fede e questa Chiesa la trovi se sapremo liberarci dalle tare del passato, dalle catene del servilismo e dell’opportunismo che hanno inquinato il rapporto tra Chiesa e politica nella controversa storia del regionalismo calabrese.

Non solo aspettando che a fare pulizia sia la magistratura, o lo strumentale perbenismo dei grandi padiglioni affaristici che si assemblano, per convenienza, nello schema ambiguo e ipocrita, una volta a destra e l’altra ancora a sinistra.

Per fare questo, andare oltre, occorre immaginare che ci possiamo salvare insieme, mai come ora c’è bisogno che la Chiesa calabrese vada in uscita, ricominci la sua missione rigeneratrice, rifertilizzante il sociale, il comunitario, persino la partitica.

E per farlo non ha che una via: scardinare la porta che rinserra le diocesi, le parrocchie, il laicato, il tessuto dell’associazionismo, rinchiusi e smarriti nell’ego dell’isolamento, nella tentazione dell’autotutela, fino al limite del silenzio e di un deleterio “corporativismo clericale”.

(Prima puntata. Segue)