Molto spesso i dibattiti sul valore dei testi a fumetti si tengono tra gruppi di sordi. Da un lato ci sono i sordi che sostengono l’assoluta assenza di valore dei fumetti e la loro diseducatività di principio, e di solito conoscono i fumetti per sentito dire, o vedono - di sfuggita - solo quei fumetti che confermano la loro tesi. Dall’altro lato ci sono i patiti e appassionati, con forte spirito di corporazione - come accade sempre ai gruppi che si sentono isolati e attaccati - e disposti a difendere la qualità pressoché di qualsiasi fumetto, per il fatto stesso che si tratta di un fumetto.
di Natale Calabretta
Gli appassionati sono sordi alle critiche dei loro oppositori perché le hanno sentite tutta la vita, e non hanno più voglia di perdere tempo a rispondere. L’isolamento li ha spinti all’estremismo.
Fortunatamente, da qualche anno a questa parte i sordi sono diminuiti su entrambe le sponde, anche se non così tanto come si vorrebbe.
Tra i non lettori di fumetti è spuntata la consapevolezza, ancora molto vaga, che forse qualche aspetto positivo nei fumetti si trova, pur continuando a ritenere la letteratura a fumetti una letteratura per bambini o per adulti sottosviluppati.
Tra gli appassionati è diventato frequente trovare persone che non sono competenti solamente nel campo dei fumetti, ma che cercano i buoni fumetti così come cercano i buoni quadri, buoni romanzi e i buoni film.
In realtà non dovrebbe esserci nessun bisogno di essere appassionati di fumetti per esserne lettori. Tra le innumerevoli persone che vanno al cinema o leggono romanzi, gli appassionati veri e propri di cinema o di letteratura costituiscono un gruppo piuttosto ristretto.
Totalmente esiguo è il gruppo quando si parla di persone appassionate d’arte disposte a comprare un quadro se non suggerito dall’arredatore d’interni.
Il problema quindi si identifica nella non ancora matura categoria di critici dell’arte del fumetto, dei divulgatori informati (più che appassionati) che aiuti a rendere fruibile ad un pubblico sempre più vasto e trasversale, secondo chiavi di lettura più profonde ed individuali, le tavole inchiostrate, tanto diffuse quanto poco comprese.
La critica del fumetto, però, (quella scientifica e un poco accademica, non quella più leggera delle recensioni) ha i suoi nemici, per quanto possa sembrare strano, anche nel mondo degli appassionati.
Ma questo non è un fenomeno che riguardi solo il mondo del fumetto. Anche l’appassionato di poesia ha paura che lo studioso usi il suo oggetto d’amore come un cadavere da dissezionare, trasformando una materia viva e pulsante in un catalogo di elementi in fredda e immobile relazione tra loro.
La scuola ha le sue colpe anche in questo. Rispetto alla poesia in particolare, non vi è grande opera della nostra tradizione che non si sia vista dissezionata nella maniera più diseducativa e respingente nei confronti dell’allievo, il quale, invece di essere incoraggiato a leggere e appassionarsi, così da avere un motivo per cercare di capire, viene costretto a capire quello di cui non gli importa nulla, perché nessuno gli spiega perché mai dovrebbe cercare di capirlo.
C’è un’obiezione più astuta delle stupidaggini ignoranti che si sentono il più delle volte, che viene mossa contro la letteratura a fumetti dai suoi detrattori.
Secondo qualcuno infatti la letteratura a fumetti è una letteratura “ingenua”, cioè una letteratura che non riflette su se stessa, limitandosi a raccontare storie senza mostrare alcuna consapevolezza del proprio raccontare.
In questo senso, nella migliore delle ipotesi la letteratura a fumetti sarebbe al livello della letteratura popolare, senza poter arrivare mai, di fatto, al livello della letteratura colta, che è sempre caratterizzata da una riflessione su se stessa e sul proprio “fare” letterario.
La risposta a questa obiezione “aristocratica” è duplice. In primo luogo si può tranquillamente verificare che la qualità delle produzioni letterarie ha storicamente poco a che fare con questa consapevolezza, a partire dai poemi epici - popolarissimi - su cui si fonda l’immaginario occidentale, Omero incluso.
E in secondo luogo, chi cercasse di sostenere una tesi del genere si mostrerebbe decisamente disinformato su quello che è successo nel fumetto negli ultimi trent’anni, anche - e in modo tutt’altro che marginale - nel fumetto italiano.
A partire dagli anni sessanta, infatti, il fenomeno del fumetto “intellettuale”, realizzato da autori colti per un pubblico colto, è diventato una componente importante del mondo della produzione a fumetti.
E non si può nemmeno sostenere che si tratti di un fenomeno isolato, che non avrebbe avuto grosse conseguenze per la produzione destinata al grande pubblico.
La vera critica, quindi non è questo: non è un’anatomia di cadaveri letterari o il tentativo snobistico di classificare le arti su piani stilisticamente diverse quando, ammesso che lo si possa fare, sarebbe giusto porla in termini di piani qualitativamente differenti.
La critica vera e consapevole di una produzione intellettuale ed artistica complessa come il fumetto, è semmai il tentativo da parte di un appassionato di capire le ragioni della propria passione per un testo in modo da poterle comunicare ad altri, così che anche gli altri le condividano, e possano godere di quel testo quanto ne ha goduto lui.
E la grande frustrazione di un critico di fumetti - che ne sia anche appassionato - è sapere quanta poca gente lo può leggere, perché tanta poca gente conosce i testi di cui sta parlando.