Gigino De Magistris ‘el conquistadores’ alla guerra elettorale contro l’altra colonna napoletana già in terra di Calabria

6 giugno 2021, 17:00 100inWeb | di Vito Barresi

Per la verità non è solo lui, il sempre roboante De Magistris ora in formato export, in procinto di dismettere per sempre la sedia azzurra di Palazzo S. Giacomo per sferrare temporaneamente da “ò re ro Vommero” l’assalto del Feudo Germaneto, a vestire i panni del neo “conquistadores” spagnolo, pronto a colonizzare in una sola avventura e spedizione le tre marche della Calabria ultra e citeriore prima e seconda.


di Vito Barresi

Perché poi, Gigino, ncoppa o Vesuvio altrimenti soprannominato “Giggino Banderas, Giggino a manetta, o skipper, o scassatore, a promessa, o strascico, o floppe” - colui che i giornali di satira partenopea ricordano piuttosto per le sue famose inchieste tipo il villaggio turistico di Marinagri, i fidanzatini di Policoro, le toghe corrotte e “Why Not?”, con centocinquanta indagati, tutti scagionati, tranne sei che attendono il giudizio - in fondo, non è che l’ultimo di una fitta schiera di campioni campani che hanno invaso il campo della politica calabrese.

Tutti nomi illustri che vanno dall’ingegnere di Aversa Stefano Graziano, altrimenti titolato da quasi un quinquennio in qualità direggentedel Pd Calabria, oltre che presidente regionale di quello campano; dell’on. Nicola Oddati nato a Salerno che segue i fatti di Calabria addirittura in direzione nazionale; all’eurodeputata di Santa Maria Capua Vetere Pina Picierno, votata nella Circoscrizione Sud mietendo solidi consensi elettorali in terra Bruzia.

L’elenco potrebbe anche continuare ma, essendo lo scrivente, Agesilao Milano, anch’egli un giacobino oriundo maltrattato dai Borboni, sguinzagliati tra piazze e vicoli devoti a S. Gennaro, altro non resta che lumeggiare qualche pallida argomentazione per chiarificare questa davvero strana “ammuina” del ceto politico napoletano, tanto attratto non si ancora per quale fatale e misteriosa ragione dai latifondi e dai boschi non più infestati da briganti e brigantesse, oltre che dai posti in cattedra nelle varie università e policlinici della Magna Grecia.

Interrogandoci primariamente di che trattasi, cioè in soldoni, quali potrebbero essere gli obiettivi meno nobili e più prosaici di questa “curiosa” armata di napoletani che ha messo accampamento tra il Pollino e l’Aspromonte, se non di una molto ma molto interessata invasione colonialistica da parte di una agguerrita pattuglia, in avanscoperta, di una Regione Campania che talvolta ha persino velleità imperialistiche sul sottostante territorio meridionale, un tempo appartenuto alla periferia del vecchio Regno delle Due Sicilie.

Per la Regione Calabria, non per far baldoria ma per senso di grande responsabilità verso il Paese intero, a sentir loro, dicono questi, le sorti si decidono a Napoli tra pizza e pastiera, friarielli e babà, mozzarella di bufala e struffoli, frittata di pasta e limoncello, fagioli e cozze e quant’altro si può trovare tra i resti della mitica “mappata” di Salvatore di Giacomo.

Tornano in mente i versi di quella straordinaria poesia quando

“ ‘o Pateterno (ca s’è susuto sempe ‘int’ e primm’ore) di buonissimo umore se scetaie mmerz’ ‘e sette, fece chiammà san Pietro e lle dicette: – Pie’, siente, stammatina è na bella iurnata e ll’ aria è fina fina: vurria fa na scappata ‘n Terra… Che te ne pare?– Mah! - dicette san Pietro - (santo napulitano e, mparaviso, capo guardapurtone) - Mah… Lei siete il padrone! Vulite vedè ‘a Calabria? E fate pure… Però … vedete… francamente, ‘a Calabria è nu poco afflittiva. V’avesse disgustà? … - Ma che! Che dici! Su, vèstiti! Scendiamo… Dove ci fermeremo? Dove andiamo? …”

Lacrime napoletane sulla Calabria. Tanto che dopo la disfatta del Tonno Callipo, assaggiato in perfetta divisa da gourmet, candido grembiule bianco, dallo stesso Zingaretti, l’ing. Graziano ha perso pure in casa, risultando non eletto nel suo Consiglio Regionale.

Nel mentre lo scaltro De Magistris, da buon melò con palchetto al Teatro Regio San Carlo, ha iniziato la sua discesa per le Calabrie dal paesello di Leoncavallo, una specie di Arcore in versione “Villa de los Libertadores” e amena residenza Tansi, da Montaldo Uffugo, in provincia di Cosenza.

Che ormai i più ricordano, non per la spensierata fanciullezza ivi trascorsa dall’indimenticabile musicista, ma semmai perché proprio sui primi tornanti di quella contrada si è rotta la catena della bicicletta di Gigino.

Dopo di ché, senza che neanche il suo già fido gregario Carletto Tansi, un geologo un po’ attempato che in prima gioventù debuttò come stagista Agip in quel di S. Donato Milanese, gli passasse la corroborante borraccia di sali e tappa, lo avrebbero sentito sbottare a modo del grande Bartali, incalzato dal napoletanissimo Barendson: “l’è tutto sbagliato… L’è tutto da rifare!”