La povertà di una parte vasta della popolazione calabrese è lo scandalo politico e istituzionale più grande che pesa sulle amministrazioni di ogni ordine e grado, regionali, comunali, provinciali e statali. La povertà di quasi un quarto degli abitanti di questa regione è l’atto d’accusa più evidente dell’ingiustizia di classe, dell’inefficienza amministrativa, dell'impreparazione e dello sprezzante disinteresse che pende sulla testa del ceto politico dominante, quello di oggi e del passato.
di Vito Barresi
Secondo i più aggiornati dati diramati da Istat, è la piaga sociale ed economica più estesa, grave e pericolosa che affligge la Calabria e il Mezzogiorno.
Un macigno sulla strada della ripresa nazionale dopo la pandemia che impedisce la crescita e lo sviluppo di questa regione e mette in forse anche la corretta ed equa redistribuzione delle risorse, dei sostegni e degli investimenti disposti dall’Unione Europea in accordo con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Sicilia (24,3%), Calabria (23,4%) e Puglia (22,0%) sono le regioni con la maggiore incidenza. L’intensità della povertà relativa si attesta al 23,8%, sostanzialmente stabile rispetto al 2018 (24,3%), e ancora una volta raggiunge il valore più elevato nel Mezzogiorno (25,0%) e il più basso nel Centro (21,9%).
In Calabria gli indicatori di povertà sono più alti di quelli nazionali. Le famiglie che si trovano in uno stato di povertà relativa nella regione sono il 30,6 per cento rispetto all’11,8 per cento in Italia; anche l’incidenza della povertà relativa individuale (34,6 per cento) risulta più che doppia in confronto al totale del Paese (il 15,0 per cento).
La povertà in Calabria non è nascosta ma è visibile. Lo è nei fatti di cronaca che si verificano quotidianamente, momenti ed episodi talvolta persino violenti e tragici; lo si osserva nelle sempre più vistose sacche di emarginati e abbandonati, famiglie immiserite, ridotte allo stremo economico, senza istruzione, barboni, mendicanti, prostitute occasionali, anziani, donne, giovani, sbandati, disoccupati, migranti e profughi, che spesso si rintanano nei ghetti urbani delle grandi città come Crotone e Cosenza.
Identicamente la povertà in Calabria si espone come un quadro antico di Treccani nelle file che, fin dalle prime ore dell’alba, si formano mensilmente davanti agli uffici postali regionali per ottenere “l’elemosina” di lusso e di Stato del Reddito di Cittadinanza, come accade ovunque nei piccoli centri interni e di montagna, dove la terza e la quarta età è sempre più isolata, abbandonata senza alcuna assistenza sanitaria e medica, persino priva di quel supporto di sussidiarietà comunitaria e di vicinato che un tempo veniva offerto in dono solidale dalle generazioni più giovani, adesso scomparse dopo le ricorrenti fughe e ondate migratorie verso il nord e l’Europa.
In Calabria, così come in gran parte del Mezzogiorno, la povertà storicizzata riguarda gruppi sociali e comunità fragili, la miseria diffusa spacca la società tra garantiti di stato e non garantiti, talvolta e spesso al soldo dell’assistenzialismo, del clientelismo e del favoritismo politico-amministrativo di turno.
Da questa realtà spesso sofferente e al limite, la stessa che certe ben determinate consorterie politiche hanno utilizzato come volano elettoralistico in bacini di povertà, quali quelli di Isola Capo Rizzuto e San Giovanni in Fiore, occorre ripartire avviando insieme una nuova stagione di lotta radicale e profonda alle diseguaglianze di ceto e di appartenenza.
La cristallizzazione classista della Calabria in due, se non addirittura tre piani, con pochi ricchi in testa, grandi funzionari della politica, dello Stato apparato che governa il territorio attraverso prefetture, questure, carceri e repressione, della magistratura, imprenditori della malavita, colletti bianchi e professionisti corrotti, ecc.
Con un ceto medio esiguo e impaurito che risponde solo alle ragioni del potere e dei forti, e infine con una platea di poveri, precari, giovani e donne sottoproletarizzati dal vergognoso e bieco meccanismo di asservimento elettorale che è il reddito di cittadinanza, accoppiato alla distribuzione degradante e immorale di buoni spesa comunali, sono stati la matrice di ogni miseria, diseguaglianza, ingiustizia.
Mettere la lotta alla povertà in testa ai programmi dei candidati a Presidente della Regione sarebbe già un gesto di coraggio e di verità, che almeno mitiga le troppe e volgari ipocrisie della vita pubblica calabrese, fatta di poche virtù pubbliche e di fin troppi vizi privati.