Se si dovesse giudicare dalle sole statistiche sui libri venduti e letti in Calabria, forse si capirebbe il perché del radicato e diffuso pregiudizio secondo cui cultura, creatività artistiche, conservative, comunicative sarebbero una delle attività più in disuso per non dire altrimenti disprezzate in questa Regione. Per cui giungono opportune le sollecitazioni e i suggerimenti espressi da Angelo Sposato e Giuseppe Valentino, rispettivamente segretario generale della Cgil Calabria e segretario della Filcams-Cgil regionale, secondo cui “il tema del patrimonio artistico culturale della nostra regione è uno di quei pilastri fondanti sui quali puntare per sostenere la ripresa economica e rilanciare il settore turistico dopo la pandemia”.
di Vito Barresi
La cultura è dono di conoscenza e bellezza, quindi, espressione di gratuità. Essa non può mai ridursi ad ancella di altri scopi se non quello della libertà. Ciò non vuol dire che non sia lavoro, molto duro, intensissima fatica intellettuale, come persino gli stessi simboli storici del movimento operaio e della cooperazione ci ricordano con la falce, il martello e il libro aperto sul sole dell'avvenire, a proposito dei lavoratori del braccio e della mente.
Ho trovato molto calibrate le parole di un grande maestro organista contemporaneo, il musicista olandese Ton Koopman che, recentemente a L’Aquila, riferendosi a Bach, ha usato questa felice espressione:
“stiamo parlando di un lavoratore della musica che doveva produrre a ritmi vertiginosi. C'erano degli schemi degli standard di riferimento, tipici dei compositori barocchi, c’era la risorsa dell’autoimprestito, alla quale ricorre numerose volte. Ma c’era anche la fucina rappresentata dagli allievi, dagli stessi suoi figli musicisti, dalla tanta musica che avidamente leggeva e studiava. Studiare i colleghi europei, gli italiani, i francesi, gli inglesi, aveva per lui anche un riscontro pratico”.
Se, dunque, la cultura stessa produce un modello di divisione del lavoro non alienante (potremmo anche riferirci per restare a casa nostra, alla vera e propria fabbrica di esportazione dell’arte, della pittura e del gusto, del pensiero religioso, ecc. che fu quella dei fratelli Preti di Taverna, Mattia e Gregorio), ciò spiega quanto essa, insieme al relativo patrimonio, ai giacimenti culturali, ai beni monumentali ecc., sia importante e urgente per la Calabria, dove è necessario, vitale rompere i vecchi schemi, e gli angusti paradigmi del passato, ritrovando nelle risorse culturale il volano di una nuova crescita e di un rinnovato lavoro.
Ecco perché, dopo la pandemia, il panorama culturale appare profondamente trasformato, destrutturato, quasi come una Guernica di Pablo Picasso, una Pompei coperta dalla lava dell'eruzione del Vesuvio, tanto che dopo una chiusura di quasi due anni, appare difficile trovare rapidamente smalto, vivacità, diversità e abbondanza, se l'intero impianto europeo, nazionale e regionale, non modificherà radicalmente le forme e i modi di produzione fin qui dati per certi, scontati e abituali.
Più di altre regioni, la Calabria deve senza alcuna riserva puntare non solo alla priorità coesiva della cultura, del patrimonio materiale, della digitalizzazione, dell’immateriale, ma anche affrontare coraggiosamente e responsabilmente le emergenze puntiformi, cioè salvare l’Abbazia di Corazzo, riaprire il Castello di Crotone, rinnovare il Parco della Roccelletta, dare diversa forma al rapporto tra amministrazione centrale dello Stato e territorio, rimodulare la rete museale da Reggio Calabria a Sibari.
In sintesi, progettare ed elaborare una strategia culturale regionale sostenibile, specialmente in termini di ricostruzione, rilanciando gli investimenti di settore, irrobustendo le finanze locali come base importante per la vita culturale, riformando la legge sui finanziamenti regionali.
Consentendo una maggiore cooperazione tra le autonomie locali, la Regione e lo Stato, puntando non sull'effimero e sugli eventi del fine a se stesso, ma sul solido aiuto a istituzioni e progetti culturali, istituendo un fondo regionale per proteggere i siti culturali a lungo termine, immaginando forme di finanziamento pubblico ad alta valenza qualitativa, quindi partecipativo, equo, coordinato e basato su criteri trasparenti.
Tuttavia il governo pubblico della cultura e delle iniziative di settore deve aprirsi alle innovazioni di raggio europeo, facendo evolvere gli spazi culturali da posti appartati per pochi a nodi relazionale di incontro sociale, cioè cosiddetti “terzi luoghi”, piattaforme interattive e connettive con l'ambiente e il turismo, che diano accesso alla cultura anche a persone che finora ne hanno beneficiato poco o niente.