Fino a non molti anni fa, pagavamo annualmente cospicue somme di denaro per acquistare cinghiali da immettere in natura. Oggi, i cinghiali sono diventati un’emergenza. E non tanto per loro colpa.
di Francesco Placco
Questa mattina si è svolta l’ennesima manifestazione contro i cinghiali. La Coldiretti, che da anni denuncia i danni prodotti all’agricoltura da questi ungulati, si è presentata con uno slogan sicuramente ad effetto per quanto sgradevole: città e campagna unite contro i cinghiali (LEGGI).
I danni prodotti dai cinghiali non sono da sottovalutare o da sottostimare, perché tra le specie alloctone sono sicuramente tra quelle che provocano più disagi agli agricoltori. E questo è un dato di fatto, oramai ampiamente documentato ed innegabile.
Ciò che è meno documentato invece, pur essendo allo stesso modo un dato di fatto innegabile, è che appena una decina di anni fa ci trovavamo nella situazione opposta.
Basta fare una ricerca per leggere una catérva di articoli con i quali si chiedeva con insistenza un aumento del numero di cinghiali da immettere in natura tramite i ripopolamenti. Ad esempio, troviamo traccia di un dibattito con la Provincia di Crotone nel 2010 (LEGGI), quando accolse le istanze dei cacciatori che chiedevano più cinghiali da cacciare.
Tale condizione si verificò in tutta la Regione, che, è bene ricordarlo, pratica operazioni di ripopolamento di più specie a scopo venatorio dal 1977. Tali operazioni sono state riviste nel 1986 (QUI), con una prima ridefinizione delle “aree di ripopolamento”, e poi unificate sotto il testo nazionale del 1992 (QUI).
Si arrivò così al Testo Unico sulla Caccia (QUI) tutt’oggi in vigore a livello regionale, al netto di alcune modifiche intercorse nell’ultimo ventennio, come nel 2010 (QUI).
Insomma, appena dieci anni fa pare vi fosse un’estremo bisogno di cinghiali, al punto che dalla Regione si autorizzavano acquisti su acquisti…
Centinaia di migliaia di euro spesi per acquistare animali da liberare in natura, senza però effettuare alcun monitoraggio, controllo, verifica. Daltronde, come si poteva anche solo sperare di controllare della fauna selvatica?
Mentre la Regione e le Province calabresi chiedevano più cinghiali, qualcuno iniziò a denunciare il problema. Nel 2009 si arrivò a chiedere il divieto di immissione di cinghiali in natura con un apposito disegno di legge (QUI) dove leggiamo testualmente:
Se è vero che la prolificità del cinghiale centro-europeo, immesso sul territorio sin dagli anni ’60-70 a fini di ripopolamento venatorio, è una delle principali fonti del problema, desta stupore che ancora negli anni successivi al 2000 diverse amministrazioni pubbliche, ad esempio in Campania, Calabria, Molise, Basilicata, abbiano emanato bandi di gara per l’acquisto di cinghiali da immettere in natura. Così facendo si concorre ad una paradossale tela di Penelope burocratica e gestionale: da una parte si invocano misure di contenimento più drastiche, mentre dall’altra si perpetua la sciagurata politica di espansione indotta della specie, anche laddove questa è parzialmente assente o presente con popolazioni ben più ridotte che in altre parti d’Italia.
Era iniziata l’emergenza cinghiali, ma nonostante le denunce di associazioni, animalisti ed ambientalisti, in Calabria si fece orecchie da mercante. Secondo stime più recenti, che andrebbero aggiornate, ad oggi in tutta la regione vi sarebbe una popolazione di almeno 300 mila cinghiali (LEGGI), e da tempo si chiede un aumento del numero di capi da poter abbattere.
Se oggi c’è un’emergenza cinghiali, la colpa non è tanto dell’animale in se – che vive come natura gli impone – erroneamente additato come pericolo o ridicolmente come ladro.
L’emergenza è nata per una serie di concause tipicamente umane, dato che siamo stati noi a decidere di ripopolare l’intera regione con questi animali.
Siamo stati noi a sceglierli, pagarli, allevarli e poi liberarli in natura. E sempre noi abbiamo pensato che in fondo nulla potesse andare storto, quasi pensassimo che i cinghiali non si sarebbero mai riprodotti in natura.
Ormai il danno è fatto, e la politica – sopratutto quella regionale – anziché fare ammenda ed ammettere gli errori del passato compie lo stesso errore di un tempo: accetta con estrema faciloneria ogni proposta, quasi fosse un miracolo risolutivo. Se ne lava le mani. Da un contentino, purché si dimostri dalla parte di chi protesta, in special modo in vista delle elezioni. Fate vobis.
Sarebbe opportuno, invece, quantificare quanto ha speso nel tempo la Regione Calabria in operazioni di ripopolamento. Quanti soldi abbiamo investito, detta in altro modo, per creare questo problema, che oggi diventa sempre più grande ed impellente da risolvere.