Bonelli era un ragazzino quando entrò nei Verdi romani. Altri tempi, eroici a loro modo, che raccontano di come, allora, con non più di altri dieci piccoli indiani metropolitani, diede l’assalto alle ruspe dei Caltagirone, pronti a cementificare una porzione di Roma già di prima deturpata dalla speculazione edilizia. A cui, naturalmente, quel giovane preferiva "fiumi azzurri, acque chiare, colline e praterie”, tutti luoghi dove ora corrono dolcissime le malinconie urbane di una generazione che deve assistere al tracollo estetico di una capitale bellissima, ormai ridotta allo stremo dalla Raggi e da Covid 19, un capo del mondo che non ha neanche più voglia di festeggiare all'aria aperta l’ennesima e scialba estate romana.
di Vito Barresi
Perchè se poi lo guardi più da vicino, in una Chianciano Terme che sembra a tratti somigliante a una Pripyat post pandemia, il frammento di una città fantasma dopo lo scoppio di Chernobyl nel 1986, ti accorgi che il filo teso della passione ambientalista di quelle origini ribelli resta ancora intatto e persino sublimato.
A suo modo in una sorta di modalità zen, allorquando dalla tribuna dell’Excelsior in quella che un tempo è stata tra le più rinomate stazioni termalistiche italiane, Bonelli offre alla platea congressuale, il vissuto e l’emozione autentica di un passaggio tutt’altro che formale che va dai vecchi verdi storici alla nuova compagnia, famiglia, compagine politica, chiamiamola come vogliamo, denominata Europa Verde.
In fondo, se poi guardi dentro al carisma minimalista dell’uomo che se ne andato a vivere a Rovereto, all’ombra della patria di Antonio Rosmini e nella terra che fu di Alexander Langer, se ne osservi i movimenti quasi distaccati da salvatore morale e materiale di quel che restava della saccheggiata ’eredità' dei Verdi a marchio ‘Sole che Ride”, scopri piuttosto un leader che non ama la cravatta di Di Maio, e che quando sale sul palco indossa a mò di francescano saio verde di cotone, una T-shirt con la scritta “The Future is Green”, forse si comprende che se Bonelli non è Tex Willer, comunque, qualcosa in comune con il ranger dei Navajo c’è l'avrà davvero.
Cioè quel che consiste nella tenacia con cui ha difeso in questi anni i confini della riserva degli ultimi Verdi italiani, quella tribù della diversità e dell’impegno profetico che ora è chiamato a guidare oltre i confini del ghetto minoritario, far fuoriuscire dal deserto di un isolamento politico istituzionale ingiusto e improduttivo.
Così parlò Bonelli che parte dalla 'historia magistra vitae', evocando la peste nera del 1300 in Europa, anche quella venuta dall’Oriente, seguendo le mappe della 'via della seta’, un’epidemia durata per ben 13 anni, che diventa parabola per calarsi nell’attualità di una tragica catena di devastanti connessioni ambientali, climatiche e sanitarie, i nessi causali negativi e spietati che collegano il Covid con la globalizzazione, la pandemia con la deforastezione dell’Asia e dell’Amazzonia, il virus con i villaggi rurali dei contadini poveri, i topi volanti con gli allevamenti e la contaminazione diffusiva e progressiva delle popolazioni sfruttate e infette.
E se 'la genesi di questa crisi feroce è principalmente ambientale', se è questa la questione da mettere al centro di ogni ragionamento politico ed economico, non si può tollerare che qualcuno riproponga irresponsabilmente modelli e soluzioni assolutamente identici a quelli del passato.
Aver accolto il governo Draghi senza nessun tipo di pregiudizio non significa per questo accettare un Pnrr che in molti suoi capitoli dedicati alla transizione ecologica denuncia evidenti deficit di interventi e carenza di sostegni concreti in bilancio.
Vuoi sul rischio smog, sulla mobilità pubblica sostenibile, sulla mobilità elettrica e sui relativi piani industriali dell’automotive, sulla depurazione, a tal punto sconceretante da presentarsi come un Piano che risponde soltanto alle esigenze dei due grandi asset industriali italiani che si chiamano Eni e Fiat Fca, palesemente impreparati sulla Transizione ecologica.
Poi la stoccata verso il Ministro della TE con parole veementi che alzano la linea del pressing ambientalista, ecopacifista e verde su una postazione governativa incoerente di Cingolani fino a dire che “se per il signor Ministro la TE è un bagno di sangue, lo invito a non fare più il ministro della TE, se il ministro non crede nella TE, lasci il ministero della TE"
Proteso a ripartire con nuove campagne referendarie, alla conquista di più ampi spazi di rappresentanza territoriale, a cominciare dalle prossime amministrative a Milano o in Calabria, Europa Verde, questo nuovo partito europeista a trazione BoBo, Bonelli e Boato, lancia non solo una operazione verità sul Pnrr di Draghi e Cingolani ma anche una sfida alta e non violenta per una profonda conversione ecologica del Paese, che ha bisogno più che mai di smantellare le resistenze illogiche di una politica autocentrata e autoreferenziale.
Almeno in potenza per il nuovo soggetto ambientalista ci sarebbero incoraggianti segnali e opportunità. Ma per il momento i numeri di Europa Verde non solo sono primi ma sono anche piccoli.
Si può e di deve fare di più per smascherare quello che con le sue parole Bonelli paventa come un possibile ennesimo imbroglio ideologico e di potere, confezionato a pacco in una transizione ecologica molto sedicente, ma evidentemente, poco seducente.