Chiesa e Ponte sullo Stretto: c’è un punto di vista cristiano sulle grandi opere da realizzare per migliorare la qualità delle vita? Per esempio, sulla validità della costruzione di un collegamento stabile tra la Calabria e la Sicilia? Bisogna domandarselo, magari più opportunamente scoprirlo, attuando un mirato piano d’interviste, una verifica non solo di mera opinione, proprio con i pastori della Chiesa siciliana e calabrese, sondando anche i leader di posizione dei vari movimenti ecclesiali cattolici, radicati nel territorio. Si può cominciare recuperando qualche spunto di biblioteca, documentazione d’archivio del già e non ancora, come questo colloquio, sbobinato dopo quasi 25 anni in cui si ascolta come oggi la voce di Mons.Giuseppe Agostino, a quell’epoca arcivescovo a Crotone, parlare dei suoi sogni di ragazzo, seminarista, tra cui spuntava anche la sagoma fantastica del Ponte.
di Vito Barresi
"Un bel Ponte? Perché no", ma a patto che, davvero, sia rispettata la natura. Così rispondeva alle mie domande monsignor Giuseppe Agostino, soffermandosi sui sempre ricorrenti annunci e le relative polemiche sul ponte di Messina.
L’allora Arcivescovo di Crotone, noto per le sue pastorali contro la mafia e la rassegnazione, e per il suo impegno a favore di una "rivoluzione etica" del Mezzogiorno d'Italia, non aveva affatto dimenticato la sua origine e cittadinanza reggina.
E come tale buttò il suo "sguardo sul ponte". Un ponte che era fatto di memorie giovanili ma anche di una ragionata speranza che questo gran parlare non fosse soltanto un'illusione, un brusco ritorno al reale dopo il sogno coltivato da più di una generazione, dall'una e dall'altra sponda dello Stretto.
C'è un punto di vista cristiano riguardo alla complessità delle questioni ecologiche che porrebbe l'impatto di una grande opera come il Ponte sullo Stretto?
Come Chiesa - rispondeva il vescovo di Crotone - noi ci poniamo il problema bella composizione tra la parola di Dio che dice 'sviluppare il cosmo' e tutto ciò che serve agli uomini per essere dentro i ritmi del tuo tempo. Allora da questo punto di vista il Ponte sullo Stretto in un certo senso apparirebbe vitale. Però attenzione. Perché mentre tutto questo è vero, a sua volta sviluppare il cosmo non vuol dire manometterlo, distruggerlo. A me pare che nella fattispecie non si può parlare di manomissione. Manomissione è ciò che manipola, che guasta, che turba. Per cui non tutte le spinte costruttive dell'uomo moderno devono essere riduttivamente ingabbiate in un concetto unidimensionale dell'estetica. Credo che una saggezza ecologica e ambientalista non può ridurre tutto solamente al paesaggismo di maniera, ma deve valutare, controllare, se è quando, realmente, è violentata la natura. Qui sullo Stretto, la natura potrebbe essere, in un certo senso, aiutata dall'opera ingegneristica e architettonica. Quale inquinamento portano le navi che vanno da una parte all'altra? Addirittura, si potrebbero prefigurare persino dei benefici ecologici. Per la Chiesa, dunque, il progresso deve armonizzarsi con la tutela dell'ambiente, senza per questo cadere nell'errore di confondere la purezza della natura con il purismo.
Quanto e come ha inciso nella formazione della sua generazione, e poi nell'immaginario e nell'identità dei reggini del 900, il sogno irrealizzato del ponte?
Chi è reggino ha negli occhi lo Stretto di Messina. Quando ti allontani da Reggio Calabria quell'immagine ti manca. Per noi è la Fata Morgana, un fenomeno che è percepibile solo nel deserto e dalla sponda calabrese del Mare Ionio. Nei momenti di grande calura si verifica una sorta di rifrazione per cui noi vediamo specchiata Messina proprio sulla nostra riva. Da ragazzi si discuteva spesso del Ponte come fosse un sogno. Fin dalle scuole elementari i nostri maestri ci hanno insegnato che la parola Reggio viene dal greco e vuol dire "dove si è spezzata la terra". Come si sa, infatti, una delle ragioni per cui Reggio è zona sismica non è solo dovuta alla vicinanza di alcuni vulcani, ma anche per la frattura geologica del suolo che ne fa zona tettonica particolare. Lo Stretto è per noi il segno di questa frattura che in un certo senso ci portiamo sempre. L'anelito a colmare questa distanza si può dire ancestrale. A quel tempo si discuteva su come doveva essere questo ponte, sui punti di attracco più propri e naturali, tra Ganzirri e Santa Trada, dove c'erano i piloni dell'energia elettrica. Si favoleggiava di un'unica campata. Altre volte ancora si parlava di un tunnel sottomarino, un pò come poi avvenuto con l'Eurotunnel. Per vari motivi, perché tra la Sicilia e la Calabria c'è davvero uno iato: si metta in conto una maggiore celerità nei trasporti, il sorgere di un'economia specifica attorno alla realizzazione.
Il sogno di quei giovani era legato a paure ed ansie diverse da quelle attuali
Le paure di un tempo non erano come quelle odierne, di tipo ecologico. Si era negli anni appena successivi da due impressionanti conflitti bellici per cui la voce della gente, il comune sentire era questo: se viene un'altra guerra, la prima cosa che fanno i nemici è che ti bombardano il ponte e tutta la fatica va a mare. Ma il Ponte sembrava impossibile non solo per l'imprevedibilità di una nuova guerra, ma anche perché era ancora vivido il ricordo dell'impressionante terremoto di inizio secolo che rase al suolo Messina e Reggio. Ora nell'ipotesi di realizzazione, mi pare che i progettisti abbiano affermato che l'unica campata di 3 Km e le due torri alte 376 metri, sarebbero in grado di affrontare venti con velocità superiore a 216 km/ora e resistere a terremoti dell'intensità 7,1 gradi della scala Richter.
Ma in fondo, si sente dire in giro, qui si fa un gran parlare di un Ponte che non appartiene a Reggio, che non può dare identità né orgoglio ai calabresi, quanto invece ai siciliani...
Prima di tutto, a me pare, che il reggino non crede alla concreta realizzazione di quest'opera non già per qualche motivo particolare ma per il susseguirsi storico di tante delusioni. Per quanto straordinaria, bella, importante il suo avverarsi sembra impossibile ai reggini. Prova ne è la contraddittorietà dell'iter caratterizzato da attese, parziali approvazioni, repentini dinieghi. E' evidente che il discorso non cala a tutti. Dal punto di vista tecnico non sono in grado di avanzare valutazioni, emettere giudizi. Ma pure mi preme sottolineare che l'eventuale realizzazione del Ponte non dovrà essere invadente, contenendo al massimo l'impatto ambientale. A noi piace immaginare un Ponte che serve il mito omerico di Scilla e Cariddi, senza infrangerlo ma potenziandolo nella storia e nel futuro. La nascita di un polo metropolitano o meglio di una nuova subregione denominata 'Area dello Stretto' verrebbe di fatto a rivoluzionare l'attuale configurazione geopolitica della stessa Calabria. Anche per quel che riguarda quello che alcuni paventano come il prevedibile inquinamento mafioso sull'affare Ponte è opportuno fare la necessaria chiarezza. La mafia tende ad agire piuttosto sulle piccole imprese. Quando si muovono i colossi economici e imprenditoriali le forme di condizionamento e di penetrazione sono oggettivamente più difficili. Tuttavia il rischio criminalità va tenuto in opportuna considerazione.