I “Professorini dell’Aspromonte”: colpe e responsabilità di una casta di finti ambientalisti alle origini del disastro ecologico calabrese

14 agosto 2021, 22:30 100inWeb | di Vito Barresi

Verrebbe da sbottare, “facile no punto com". E continuare a dare sempre la colpa agli altri. Sommamente ai soliti politici dell’oggi e del passato che sono come i fuochi fatui necessari a far perdere le tracce dei piromani dopo l’incendio della prateria. Ma poi, infine e in fumus, che cosa hanno fatto realmente “i professorini” che hanno avuto in mano per decenni e decenni il governo, l’amministrazione e il controllo di quel bene di inestimabile valore universale che è la foresta calabrese? Per la precisione i Presidenti e direttori generali che si sono succeduti all'Ente gestore del Parco dell’Aspromonte, per non parlare del Parco della Sila e di quello del Pollino?

di Vito Barresi

Chi sono e che cosa sono stati questi ben noti “professorini”, appunto, è facile capire se si leggono le esternazioni diluviali di questi ultimi giorni, parole e tronfie vanterie del proprio operato che, se fossero state acqua, forse, avrebbero più concretamente contribuito a spegnere qualche residuo rogo in combustione.

D’altra parte, bisognerebbe invocare non i soliti narratori della selezionatissima ed esclusiva pattuglia degli intellettuali alla moda, “radical chic” e sinistrorsi, sempre pronti a sistemare i propri affarucci, grazie alle forti relazioni con le segreterie regionali dei partiti di potere, ma assolutamente da non chiamare clientelismo, anche se qualcuno alla Vincenzo Guerrazzi (Nord e Sud, I dirigenti, ecc.) sarebbe pure pronto a dipingerli di verderame, questi “grand commis dei tre parchi”, immensi feudi politici del sottogoverno specie rosso-ambientalista (comprensivo di potentissime e sponsorizzate associazioni dei soliti quattro amici di vecchia sezione comunista) che dominano geograficamente l’intero territorio regionale.

Per capire quello che hanno fatto questi grandi feudatari dipinti di finto ambientalismo”, come hanno gestito immensi fondi pubblici messi a loro quasi insindacabile utilità, quale modello hanno imposto al patrimonio ambientale forestale della Calabria, basterebbe andare a guardare le carriere dei vari presidenti e direttori generali che si sono avvicendati, le loro numerose e lussuose pubblicazioni, che valevano punteggi in concorsi di stato, scalate universitarie, successi editoriali in Italia e all'estero, con belle royalties in diritti d'autore, alla faccia delle penne del falco pesciaiolo e del fogliame del pino loricato.

Così come le ricerche e gli incarichi per rimpinguare i propri curriculum personali che poi servivano per ulteriori avanzamenti ministeriali, metropolitani, provinciali, regionali e comunali, in base alla più “consistente” rete di rapporti personali e alla rete di relazionalità nazionale e internazionale, la diplomazia dell’accoglienza e dell'accountability; il tutto condito di foresterie gratuite, viaggi pagati, seminari spesati, visite, sopralluoghi e approfondimenti retribuiti in quasi tutti i parchi del mondo, audizioni parlamentari in sede europea e nazionale, un pacchetto di benefit di non poco conto che assomigliano ai viaggi tropicali del ventaglio e dei turisti fai da te.

Intanto che la foresta bruzia e il bosco aspromontano bruciavano e ancora bruciano, nei tre parchi esistenti in Calabria, in quasi quaranta anni si è consolidata ed è cresciuta una vera e propria casta di burocrati delle bellezze naturali, i rentiers degli ecosistemi naturali regionali, quelli che, praticamente, a parte le solite relazioni annuali, godono dell’immunità di non dover rispondere, di fatto, a nessuna dialettica della democrazia regionale e territoriale, se non alla logica dei nominati, dei cooptati e dei prescelti, spesso con titoli vaghi che riescono a trasformare persino qualche mediocre impiegatuccio di un noto comune del crotonese, addirittura, in manager del sottobosco, in perfetta divisa di direttore generale.

Dopo la devastazione delle foreste calabresi, a seguito di quanto accaduto qualche anno fa nel Parco del Pollino, laddove persero la vita, travolti da una piena improvvisa, diverse persone innocenti, per essere all’altezza della gravità della situazione servirebbe subito e preliminarmente una approfondita inchiesta indipendente dello Stato e della Regione Calabria per giungere al più presto, nell’imminenza della nuova legislatura, a un totale reset autentico, garanzia di sicurezza e di ripresa anche in base ai programmi del Recovery, del Green New Deal e del Pnrr.

Ciò per evitare che venga a riproporsi il solito andazzo, avviato a suo tempo dai “professorini” che hanno scritto bei tomi, volumi e libri, saggi e contro saggi, sotto il marchio di prestigiose case editrici universitarie e para universitarie ma che poi hanno lasciato, dopo di loro, che le cose vadano oggi come sono andate sempre prima, non solo quest’estate ma puntualmente ogni volta che viene la stagione del sol leone.

Gli stessi “finti ambientalisti dei tre Parchi” che hanno aperto voragini di danni erariali da fare inorridire i magistrati della Corte dei Conti per la Calabria, costretti a condannare, condonare e chiedere risarcimenti ingenti per violazioni di vario genere ai danni dell’ambiente e delle finanze pubbliche italiane ed europee.