Don Luigi Nicoletti prete del Sud. Oltre le finestre della nostalgia il valore attuale della sua fede antica

7 settembre 2021, 18:00 100inWeb | di Vito Barresi

La casa, se si volesse cantarla alla Guccini, ha da tempo oltrepassato il confine dei ricordi. Tanto che nessuno ci fa più caso, a San Giovanni in Fiore, nonostante il palazzo sia nel centro del borgo antico, sebbene in vista la segnaletica su marmo di un giorno che è nel calendario comunitario locale, e cioè che qui si annoverò la nascita di don Luigi Nicoletti.


di Vito Barresi

Un prete del sud, uno di quelli che nel Novecento girava tra le campagne e le case rupestri con il pesante abito talare del clero romano.

Un soldato semplice della fede schierato nei ranghi del millenario esercito dei sacerdoti cristiani, quelli che hanno tenuto il mondo antico del Sud compatto e monolitico in saecula saeculorum, contro i pagani e gli ottomani, i barbari e le eresie, le superstizioni e le magie, le sette e le mafie, le diaconie selvagge e le pazzie eremitiche, il mito del progresso e il socialismo, il fascismo e il comunismo, prima che il diluvio universale della modernizzazione, il genocidio culturale del consumismo e dell’urbanizzazione spazzasse via un ciclo di storia di lunga durata ormai rimossa e dimenticata da tutti.

L’aggancio immaginifico che suscita una rilettura di Don Nicoletti a sessanta anni dalla sua scomparsa, quasi ricorda le belle pagine, intense, devote, estreme, di un altro grande prete eroico, colto, popolare, persino mistico come fu il lucano don Giuseppe De Luca, quando nel suo indimenticabile “Prete” scriveva che

“il prete, anche fuori di chiesa e di sagrestia, lo vediamo ancora - ancorché in un’età di sua decadenza - molto più spesso di quanto non parrebbe naturale e comportabile. Di preti in politica, non già nella politica vaticana che è tutta di preti e, siamo giusti, per preti, ma nella politica delle nazioni, ne abbiamo veduti non pochi né di piccola statura”.

Che ben che andava, a quei preti in mezzo al popolo affamato e povero, era alla fine di una lunga giornata sollievo, rimuginare in latino preghiere e messale di ogni santo giorno.

Per cui Don Luigi Nicoletti più che un pastore al gregge sembrava un bracciante al solco, con il suo abito talare somigliante alle penne nere di un volatile che aspetta sgranocchiare almeno un chicco asperso a goccia sul campo da una sunta bisaccia contadina.

Un quadro alla Giovanni Segantini che non se ne vedono più appesi sul retro di una pieve dove ancora c’è un sagrestano che adora l’Ecce Homo, uno di quei cartoni stampati a olio, ritratto autorevole, austero, carismatico con quel collarino ecclesiastico abbagliante, che fa da coordinato pendant col colore del saturno lievemente consumato, misto con tocchi di polvere e ristoppia, rimasto sul tipico cappello portato con nobile orgoglio dai presbiteri della Chiesa Cattolica.

La targa in bel marmo, con antiquariate venature del tempo silano, narra uno scorcio tra le pagine di questa regione, della sua storia religiosa, la storia religiosa della pietà popolare calabrese, su cui resta testimonianza di un presbitero saggio, nato in questa casa il 6 dicembre del 1883; un sacerdote esemplare, un educatore e maestro, scrittore efficace e profondo, e ancora, quale esempio di spirito altissimo e di coraggio commovente, politico di adamantina struttura, assertore e difensore della libertà, della verità, della giustizia.

Tutti i doni maggiori che gli amici di partito, gli estimatori e i discepoli, vollero apporre su questa “povera lapide indegna nella forma e nella parole di tanto uomo che dalla natia Sila portò nel lavoro quotidiano la purezza delle salubri aure la saldezza delle rocce granitiche l’incorruttibilità delle cristalline e fresche sorgenti”.

Ritornato dall’esperienza militare sul fronte del Trentino, all’Isonzo e a Gorizia, il Nicoletti alla nascita del Partito Popolare ne diventa Segretario per la provincia di Cosenza.

Guida i Popolari nella resistenza al Fascismo nel ’24 e nel ’43 venne eletto Segretario Provinciale della DC di Cosenza, unico sacerdote in Italia, che profuse l’impegno e l’entusiasmo degli anni giovanili nel riproporre i principi cristiani nelle mutate condizione della società civile; in quello stesso anno fondò e diresse “Democrazia Cristiana”, settimanale del Partito.

Più su al Nord ci furono Dossetti, don Primo Mazzolari qui i nostri Sturzo, De Cardona, Don Mottola.

Nell’intervista rilasciata dal Papa lo scorso fine agosto a Carlos Herrera, di Radio Cope, e trasmessa dall’emittente spagnola il 1° settembre, Francesco si confronta con il tema della memoria con una delicata riflessione, dicendo che

la mia nostalgia cerco che sia di tipo malinconico, autunnale, anche se una cosa bella dell’autunno argentino, a Buenos Aires, erano le giornate nuvolose, con molta nebbia, dove non si vedeva a dieci metri dalla finestra, ed io ascoltavo Piazzolla. È un po’ strano, ma anche Roma ha le sue giornate di nebbia. Nostalgia, no. Voglia di andare da una parrocchia all’altra camminando, sì; ma nostalgia, no”.

La casa natale di Don Luigi Nicoletti, a due passi dal paese della suora emigrata in Argentina e tanto venerata dal Pontefice, il palazzo di famiglia con la lapide sta ancora lì, solitario e silenzioso, mentre si accendono le prime luci elettriche del vespro, a raccontare per chi vuole ascoltare il missionario impegno dei preti cattolici nel mondo del lavoro e della cooperazione meridionale.

Don Luigi prete del Sud, uno tra i tanti che sembra ancora sussurrarti dalla grata del confessionale rurale che, in fondo, è ancora là che devi cercare le tue radici, se vuol capire, scriveva Corrado Alvaro, l’anima che hai, quella vera dei calabresi autentici.