In questi anni di moderna peste, non è il virus che preoccupa. La questione sanitaria è ormai decisamente secondaria. È il contesto sociale degradato che si è creato a dover impressionare. La decadente democrazia e lo stato di diritto in Italia erano già istituzioni scricchiolanti e decisamente mal sopportate da molti soggetti di potere; è servita la spallata della pandemia (vera o falsa ancora non è chiaro) a fare da pretesto per l’avvio di una imposta “nuova normalità”, cinica come non mai.
di Natale G. Calabretta
La storia, per chi la capisce nelle sue metafore e non si limita a studiala, ci dice che per imporre una nuova mentalità è necessario un periodo lungo di trasformazione sociale che può essere però abbreviato enormemente dalla diffusione sistematica e capillare dei nuovi modelli e delle artate rappresentazioni della realtà applicando i rudimenti di psicologia delle masse ai mezzi di informazione cooptati dal potere (o dai poteri) al sostegno di una vera e propria campagna di propaganda in modo da annichilire le personalità individuali e l’autonomia di pensiero.
Esattamente come siamo abituati a subire con le tecniche del marketing pubblicitario con la differenza sostanziale che esiste tra la volontà indotta a voler acquistare un prodotto e il condizionamento che induce a rinunciare a pezzi di libertà.
I gestori del potere, come i pubblicitari, sanno che l’uomo è un animale gregario e ciascun essere umano ha bisogno di sentirsi parte di qualcosa di più grande e, affinché tale necessità sia appagata, si devono investire forze, mezzi e quattrini per creare una orchestrazione che produca una forte omogeneità delle versioni della realtà dettate dal potere e fornite dai media “ufficiali”, in modo da indurre i pensieri nelle masse e guidarne e prevederne le reazioni.
La semplificazione del pensiero indotto dalle tecniche di controllo delle masse applicare dal così detto mainstream, implica la costruzione di un “nemico unico” per tutti e facilmente riconoscibile.
Il nemico, costruito nelle redazioni dei giornali, dovrà essere identificato con una etichetta, uno stereotipo, un concetto semplice e emotivo: ebreo, nero, gay, novax, etc. Il capro espiatorio, in somma, sul quale scaricare l’odio.
Sarà facile così ridurre la complessità della storia e della vita presente ad un semplice dualismo a beneficio delle menti ordinarie: i buoni contro i cattivi, noi contro di loro.
Si crea così, come il “nemico unico”, un “pensiero unico” dove tutto è precostituito in modo da restituire una realtà consolatoria e condivisa alla massa passiva.
“La falsa realtà”
solida e convincente
Affinché tale realtà posticcia - “la falsa realtà” - risulti solida e convincente, chi detiene il potere cerca sempre di dimostrare di disporre di una maggioranza schiacciante a suo favore e che tale consenso fondi le sue radici nella libera scelta dei singoli, poiché l’illusione della libertà va mantenuta.
Si creano, quindi, notizie portatrici di verità falsamente condivise che nell’incipit tradiscono lo scopo di adulare e adescare: “Tutti sanno che…”, “È noto a tutti che…” e espressioni simili.
Tali notizie, così confezionate, sfruttano la pulsione gregaria del singolo individuo, il bisogno di appartenenza.
Ma non basta. Affinché questa regressione generalizzata avvenga, l’ambiente comunicativo e pseudo-culturale, deve essere rassicurante attraverso la narrazione delle stesse immutabili verità ogni volta ripetute con taglio diverso, con false prospettive, con amplificata risonanza ma pur sempre ossessivamente riproposte.
La ripetizione ossessiva del messaggio sino alla sazietà, è la linea base della propaganda: si ribadiscono un piccolo numero di concetti e di argomenti sino al momento in cui divengono verità assodata, sino al momento in cui la più sfacciata menzogna o il più assurdo raggiro si siano installati nelle menti irriflessive sostituendo la realtà e consolidandone una alternativa.
Il bombardamento d’informazioni e d’immagini ha un effetto di disorientamento. L’infodemia, così detta, invalida la comprensione, il pensare con la propria intelligenza.
È una forma di violenza brutale di cui spesso si sottovalutano dimensioni e popolarità. Una violenza che impedisce di disporre del tempo e delle informazioni necessarie per potersi soffermare, per raccogliersi ed analizzate, annienta il pensiero e la capacità critica dell’individuo, ne provoca la perdita della coscienza in una regressione all’inconscio collettivo.
L’ingegneria del consenso e la
creazione di una mente collettiva
Azzerato il tempo della riflessione e inquinando la dignità dell’intelligenza umana, si accede al tempo psicologico dell’obbedienza all’autorità, all’accondiscendenza, al conformismo del maintream divenuto, ormai da decenni, strumento attivo per l’attuazione di una “ingegneria del consenso” e per la creazione di una “mente collettiva”.
Ne deriva una società plasmata dalla disinformazione e dallo sprezzo ideologico delle élite verso il popolo - considerato minus habens - che lo induce a scelte irrazionali anche contro i propri interessi, destrutturandone l’autodeterminazione attraverso il mantenimento di un forte deficit intellettivo e immaginativo, inducendolo al conformismo disattento e all’inerzia.
All’interno di una simile trappola anche le classi colte di una società regrediscono subendo una lenta intossicazione cerebrale, seguendo una progressiva atrofizzazione delle conoscenze acquisite e rinunciando al pensiero in cambio di una precostituita versione della realtà che non conosce approfondimenti.
La sottomissione al mainstream è diventata così la colonna vertebrale dell’azione delle persone. È l’accoglimento di qualsiasi condizione di vita si proponga, anche decadente.
È la resa all’obbedienza, accettata volontariamente in assenza di minacce fisiche. Ci si accoda a sostenere l’autorità che schiaccia, ad accettare l’inaccettabile.
La folla possiede una identità minuscola e vive in uno stato di ansia paranoica per ogni cosa che minacci il suo precario modello, da qui la necessità di un continuo conforto, offerto abbondantemente dalla propaganda, attraverso la stigmatizzazione delle visioni della realtà non conformi: ridicolizzandole, distorcendole, travisandole, falsificandole, silenziandole fino al punto di delegittimarne addirittura l’esistenza, di renderle amorali e illegali.
È l’invisibile creazione di un universo distopico e paranoico per agire sui recessi profondi dello spirito dell’individuo, per programmarne le azioni e addirittura i comportamenti.
La pressione che instilla paura nelle intelligenze depresse delle persone è il modo più facile per dominarle, poiché spinge ad accettare ogni soluzione.
Questo fenomeno adattivo umano è ormai spietatamente sfruttato dalle tecniche di controllo subdole, sottili e duttili, sottratte alla visibilità che sottomettono intere società, senza che queste siano coscienti della propria sottomissione: il rapporto di dominio deve restare nascosto per continuare a credersi liberi.
Il meccanismo di gestione del potere
“problema-reazione-soluzione”
Il meccanismo più comune di gestione del potere “problema-reazione-soluzione” è quindi svelato: si crea il problema per causare la reazione dell’opinione pubblica precedentemente preparata e guidata dando l’illusione di una libertà dei comportamenti in realtà dettati a livello inconscio.
La reazione collettiva, di paura, di allarme, perfettamente calibrata e controllata dalla modulazione delle ridondanti false informazioni della propaganda, fa sì che sia la massa stessa a richiedere e ad accattare le misure imposte dalla soluzione, qualsiasi essa sia.
È quindi chiaro quali siano i maccanismi di psicologia sociale, l’insieme di strategie di propaganda alla base del condizionamento delle masse che ne altera la percezione della realtà a convenienza di chi questi meccanismi li conosce e li sa usare.
A questo punto, guardando alla realtà di questi “anni-covid”, a dove siamo arrivati e a come ci siamo ridotti, risulta chiaro che non è il virus che preoccupa. Non è più - ammesso che lo sia mai stato - lo stato di emergenza sanitaria che può giustificare quello che siamo diventati.
Non è più la paura di morire che spaventa. Almeno non più.
È un altro tipo di infezione, di lue cerebrale, di morte civile che allarma in questi mesi di pandemia formale: il sistematico abbattimento del pensiero critico, la mortificazione dello scambio dialettico, impedito anche fisicamente dalla socialità trasformata in assembramento, la logica soffocata dal turbine di passioni indotte e pilotate, dalle paure ingegnerizzate, che non lasciano spazio all’elemento di distacco, negano strumenti per la riflessione e l’analisi, per la presa di coscienza.
Ma per quale scopo? Quale l’obbiettivo? Ci si potrebbe domandare.
Per penetrare, controllare e sfruttare per fini puramente politici (o geopolitici) e macroeconomici, come un sortilegio magico, l’inconscio di un vasto pubblico universale tramutandolo senza trauma in marionette.
Ma questa rivelazione in filigrana di marionette convinte di essere sensienti, di fili mediatici che le tirano e le spingono e di manovratori neanche tanto occulti, può essere vista e letta soltanto da chi è allenato ad usare i propri occhi e le proprie orecchie mantenendosi intellettualmente distaccato da questo pandemico tumulto - pandemonio - di condizionamenti, cercando attivamente senza preconcetti le diverse verità e munendosi dell’arma più sovversiva: il tempo per riflettere.