All’inizio di una nuova inchiesta ci si chiede sempre se dietro un assassinio c’è la ‘ndrangheta. Proprio come un Camilleri d’annata in cui Montalbano afferma che don Balduccio Sinagra, il boss della vecchia mafia di Vigata, non c’entra niente con qualche “ammazzatina” della fiction. Giallo Mediterraneo sotto il sole dell’antica Kroton. Un delitto in tempo di Covid con il casco e senza mascherina. Quale sarà la faccia del crimine che il “volto” della legge dovrà scoprire?
di Vito Barresi
Un’altra storia da sbrogliare per il giovane magistrato venuto dal Nord nelle terre di ‘ndrangheta e dei delitti oscuri, tanti dei quali poi finiscono nel pozzo nero di casi irrisolti, troppo sbrigativamente coperti dall’alone ampio di una spesso facile etichetta che manda tutto nella rubrica della criminalità organizzata.
Erano appena passate le 10.30 di un venerdì di fine estate quando un giovane imprenditore fermo sull’uscio del suo ufficio, a piano terra di un tranquillo condominio all’angolo di un quartiere popolare, è stato ucciso con quattro proiettili sparati con precisione da una sette e sessantacinque millimetri da mano ancora ignota (QUI).
Più o meno tutto è accaduto per come preventivato da un killer che potrebbe essere anche tornato a casa, giusto in tempo per l’ora di pranzo.
Gli inquirenti si chiederanno se trattasi di un professionista addestrato o di un dilettante al suo debutto criminale? Di certo c’è che non si è appostato in forma d’agguato ma è arrivato sciallo girando lo sterzo di una moto guidata con regolare il casco in cui solo gli occhi si muovevano, ruotando a 360 gradi con fulminea rapidità, quasi fossero su un cuscinetto a sfera.
Astuto, preciso, velocissimo, eppure in qualche modo al rallentatore. Per alcuni forse persino flemmatico, un killer tutt’altro che “glaciale” che ha aperto il fuoco sotto il sole cocente, in una mattinata ad altissima temperatura, ai livelli climatici roventi di una caldissima stagione balneare, ma che spara prima di squagliarsela con impassibile freddezza.
Il rito dei rilievi e la ricostruzione minuziosa dei micro indizi sul campo è ormai praticamente finito. Chi ha sparato non ha sbagliato un colpo.
Pistola di piccolo calibro ma efficace arma per chiudere il primo tempo della partita, sancito con il botto della morte. Ma il caso è ancora aperto in questo secondo tempo velato dal lutto del dopo delitto.
Ebbene, la domanda resta sospesa, crimine specchio distorto di una società locale in cui le storie di mafia hanno fatto testo e tradizione.
Il flash back si dipana nelle immagini impresse nella memoria crotonese dall’onorata società fino alle ‘ndrine e ai nuovi cartelli della malavita, e si sversa nell’attualità dalla finestra aperta sulla scena di un delitto apparentemente inspiegabile.
E lo fa con forza, sguinzagliandosi tra famiglie e parentele, pronti a ricollocare pezzi di cronaca rimossi, con gli intrecci da disvelare e le vicende da ricomporre sullo sfondo di una piccola città di provincia, bastardo posto con le sue contumelie, i “dicica” (i si dice) tra vicoli e condomini, circa i veri o presunti interessi che poi, in un più vasto quadro investigativo e probatorio, consentiranno al giudice di trasformare le prove raccolte, le testimonianze acquisite, da ipotesi disegnate su carta in cristallizzazione di accuse ben precise su protocollo, dissolvendo il fiuto iniziale per far largo alla procedura scandita a suon di codice penale.
In quell’immenso retroporto di minuscoli misfatti diurni e notturni, sperduti a coriandolo nel pulviscolo quotidiano dell’illegalità diffusa di tutto il crotonese, ci sarebbero in archivio solo lievi tracce di devianza, qualche questione finita a botte con lesioni nemmeno gravi, il sottobosco del gioco d’azzardo, episodi giovanili di vita vissuta in un quartiere dove la serie storica dei delitti si è connaturata allo stile stesso dei comportamenti comunitari, tanto che qualcuno denominava orgogliosamente la propria identità di Bronx scrivendo sui muri “mamma non temere da grande non farò il carabiniere”.
Tuttavia, il teorema prevalente adesso, è che la ‘ndrangheta in questo poliziesco ci starebbe più o meno come il rumore di fondo che si avverte mettendo una conchiglia all’orecchio dopo averla raccolta sulla risacca di una spiaggia vuota.
Cioè la ‘ndrangheta vista come istituzione totale del crimine, non ci sta negli account sia del killer che della vittima, non trova riscontri né angoli opachi dove si dipanano relazioni pericolose.
C’è, direbbe Camilleri, ma senza mettersi in favore di camera, davanti e nemmeno dietro se non vagamente, allusivamente.
Tanto che, per i nuovi inquirenti alla ribalta, serve un altro approccio per aprire stagioni investigative innovative anche in Calabria, con modelli da adottare ben diversi che nel passato.
Quasi a dire che un intero ciclo sta per chiudersi. Consolidare il mito integralista della ’ndrangheta che tutto domina e che tutto controlla, che altro significherebbe, infine, se non regalargli d’ufficio, quel primo piano di cortesia che sempre anche un qualsiasi delitto sembra porgerle ossequiosamente?