Mezzanotte a Mezzogiorno. Fermare con politiche intelligenti la crisi ‘irreversibile’ dei piccoli comuni

22 settembre 2021, 12:15 100inWeb | di Vito Barresi

La mezzanotte del Mezzogiorno non è un quadro di Magritte. E neanche l’ultimo degli ossimori che va a far compagnia ad altri tipo una lucida pazzia, un silenzio eloquente, un tacito tumulto, il ghiaccio bollente. È, invece, la petizione non retorica avanzata, già prima della crisi pandemica scaturita da Covid-19, da alcuni vescovi della Campania (Felice Accrocca Benevento, Arturo Aiello Avellino, Domenico Battaglia al tempo di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata dei Goti ora di Napoli, Pasquale Cascio di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia e Sergio Melillo di Ariano Irpino-Lacedonia) che fa da titolo a un documento per salvare il Sud da disgregazione e spopolamento, con corrispondenti indicazioni di metodo e linee operative, discussi in un forum di amministratori campani.


di Vito Barresi

Nel loro appello, sintesi di una convergenza di pensiero e frutto di una comune riflessione socio-ambientale, questi vescovi - dopo aver constatato il sempre più drammatico e strutturale abbandono dei borghi e dei piccoli comuni del Meridione, l’inesauribile e inarrestabile nuova “catena migratoria”, come la definì in un classico della sociologia italiana Emilio Reyneri - aprono un ragionamento forte e condivisibile non solo sulle cause storiche e attuali che stanno all’origine della fuga delle nuove generazioni verso le grandi città italiane del Nord e dell’Europa, ma offrono anche alcuni primi spunti per affrontare senza facili riduzionismi turistici il declino inesorabile di intere aree del Paese.

Borghi, villaggi, piccoli centri rurali e di montagna stanno andando a picco, oltrepassando il cono d’ombra della nostalgia, sprofondati in un buio solido, materico, opprimente che rischia davvero di tramutarsi in malinconia di un mondo che mai più ritornerà ad essere vivo, palpitante e partecipe alla tessitura umana e sociale di un mondo diverso, di un’umanità nuova.

La pandemia, specie per quel che riguarda i servizi sanitari, ha accelerato il collasso dei territori delle aree interne, sempre più poveri di abitanti presenti, di risorse pubbliche utili e non sperperate a pioggia.

Le menti migliori delle nuove generazioni del Sud, cioè quanti a costo di sacrifici anche collettivi si sono formati nelle università con investimenti ingenti da parte delle famiglie, sono costretti a lasciare la propria terra, depauperando ancor di più il capitale sociale storico, interrompendone la proficua accumulazione, consegnando le qualità educative, tecniche ed umanistiche fuori dal proprio territorio di nascita e identità, a contesti economicamente più vantaggiosi ma relazionalmente più anomici e nucleari.

Scrivono i religiosi che di fronte a tale pericolo bisogna dare il segnale del sorgere del sole, sentendo nostro dovere dire una parola sul momento che stiamo vivendo e proporre una via di metodo per trovare congiuntamente un itinerario da percorrere tutti insieme affinché possa accorciarsi la notte.

“Quello attuale - inutile negarlo, scrivono i presuli - è un tempo difficile, che rischia di allargare ulteriormente la forbice Nord-Sud, e nel quale la Campania registra un ulteriore squilibrio tra la fascia costiera e le province dell’entroterra; nonostante le enormi risorse paesaggistiche, artistiche, culturali ed enogastronomiche di cui dispongono, queste ultime faticano infatti a intercettare i flussi turistici, così che il loro tasso di occupazione è inferiore a quello del Mezzogiorno e della Campania, oltre che nettamente al di sotto della media nazionale. La crisi delle aree interne è inoltre aggravata dalla contrazione della spesa pubblica: il taglio subito nei trasferimenti per funzioni istituzionali, strade ed edifici scolastici è pari al 50%”.

La questione delle aree interne, che coinvolge i piccoli Comuni con in media 1500/2000 abitanti, non riguarda solo il Mezzogiorno ma l’Italia intera.

Per la sua importanza strategica essa non può e non deve essere più trascurata, anzi va posta con urgenza in quanto necessaria premessa per determinare un “retroterra” attivo e propulsivo che migliorerebbe la stessa dimensione delle grandi piastre metropolitane oggetto di attenzione del Piano Nazione di ripresa e resilienza.

Auspicare che in tutte le Regioni si apra un confronto e un tavolo significa invertire la rotta politica e fare spazio non più agli interessi ma un funzionale, equo e produttivo uso dei beni comuni.