Da tempo, in questi mesi pandemici, si fa un gran parlare circa la possibilità che il datore di lavoro possa intimare il licenziamento al dipendente che si sottrae all’obbligo della vaccinazione contro la Covid19. Sul punto vi è stato un interessante confronto di esperti di diritto del lavoro e dei soliti virologi.
di Natale G. Calabretta
Sul punto, però, un altrettanto interessante confronto tra esperti di sicurezza dei luoghi di lavoro è mancato colpevolmente. Infatti, analizzando attraverso un’ottica più tecnica, si proverà a chiarire cosa prevede la normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro per il lavoratore che non vuole vaccinarsi contro il SarCov2.
Ragionando e affrontando di petto la questione che sottende alla possibilità di licenziare o meno, cioè l’eventuale inserimento dell’obbligo vaccinale, si può far partire l’analisi proprio dall’ipotesi di inserimento di questo obbligo generale al vaccino per tutti gli italiani.
Quindi ci si domanda: sarebbe costituzionale un’ipotesi del genere? Esistono leggi che possono obbligare i cittadini a vaccinarsi?
In Europa l’obbligo vaccinale è nato all’inizio dell’ottocento con la diffusione della vaccinazione contro il vaiolo; l’Italia ha abolito il vaccino contro in vaiolo nel 1981 quando ormai il virus si era endemizzato, rendendo in verità non valutabile la reale efficacia del vaccino (nel senso stretto) comunque inoculato a numerosi italiani.
Nonostante la ormai certificata grave incostituzionalità, il “Decreto Vaccini” nato nel 2014 a seguito della ratifica degli accordi di Washinton, nell’ambito del Global Health Security Agenda, dove l’Italia si impegnava ad essere capofila delle politiche vaccinali mondiali, ha portato il numero delle vaccinazioni obbligatorie nell’infanzia e nell’adolescenza nel nostro Paese, da quattro a dieci con l’obbiettivo di contrastare il progressivo calo delle vaccinazioni sia obbligatorie che raccomandate.
Nel 2017 un inspiegabile decreto d’urgenza che ha dato vita alla “legge Lorenzin” (Legge n. 31 luglio 2017 n.119) ha stabilito che i bambini non vaccinati non possono essere più accettati nelle scuole dell’infanzia da 3 a 6 anni e all’asilo nido prima dei 3 anni; invece, nelle scuole dell’obbligo, la mancata vaccinazione comporta solo una multa.
“Nessuno può essere obbligato
ad un trattamento sanitario”
Dunque si può affermare che in Italia esiste la possibilità di rendere obbligatorio un vaccino, con meccanismi di forzatura legislativa in deroga al Regolamento della Commissione Europea n. 507/2006, e contrari alle costanti interpretazioni della Corte Costituzionale (si fa riferimento ad esempio alla sentenza n. 5/2018) in merito all’interpretazione del dettato dell’articolo 32 della Costituzione a norma del quale, nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario anteponendo, di fatto, la tutela della salute dell’individuo anche difronte la salute della collettività.
Pertanto l’obbligo vaccinale in Italia può essere forzosamente inserito solo attraverso disposizioni di legge urgenti ed è quindi la legge a prevedere questa deroga: una legge del parlamento e non per forza una legge costituzionale, il che significa che nessun atto amministrativo, come ad esempio un DPCM, potrebbe rendere obbligatorio un vaccino.
Recenti sentenze della Corte Costituzionale hanno stabilito che nel caso di effetti collaterali derivanti dai vaccini obbligatori lo Stato deve farsi carico del risarcimento del danno, e questo vale sia per le vaccinazioni obbligatorie che per quelle raccomandate che sono invece facoltative.
Attualmente non è stata emanata alcuna legge volta a rendere obbligatorio il vaccino contro la Covid19 ma l’introduzione del Green Pass (D.Lgs. n.105 del 26 luglio 2021) è volta alla costrizione surrettizia alla vaccinazione in cambio della concessione a lavorare, ad interagire con i servizi dello Stato a viaggiare, a vivere liberamente, etc., per altro, e anche in questo caso, il disposto normativo italiano è in netto contrasto con i Regolamenti Europei n. 953 e n. 954 del 2021 in materia di certificazione vaccinale.
Dall’allontanamento
alla sospensione
dello stipendio
In tale ambito normativo si insiste a parlare della possibilità, per le aziende, di licenziare il lavoratore che non accetta di vaccinarsi: tale dibattito è sostanzialmente lecito nonostante le limitazioni e le attenuazioni del dettato di legge del Green Pass esteso (D.Lgs. n.127/2021 in vigore dal 15 ottobre 2021) che prevede l’allontanamento del lavoratore non vaccinato e la sospensione dello stipendio ma non il licenziamento sulla scorta della giustificazione di tutelare la salute degli altri lavoratori e quindi dell’intero ambiente di lavoro.
Le opinioni di tecnici e giuristi sono discordanti: secondo alcuni la risposta è affermativa, cioè è legittimo il licenziamento del dipendente che non si vaccina e ciò perché l’articolo 2087 del Codice Civile stabilisce che il datore di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure suggerite dalla scienza e dall’esperienza necessarie per garantire la sicurezza fisica e psichica delle persone che lavorano in azienda; secondo altri, invece, in assenza di una apposita norma di legge, il datore di lavoro non potrebbe di fatto procedere al licenziamento del lavoratore che non si è sottoposta alla somministrazione di un vaccino non obbligatorio.
L’articolo 20 del D.Lgs. n.81 del 2008, ovvero del Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, stabilisce un vero e proprio obbligo di cooperazione da parte del lavoratore nel rispetto e nell’osservanza delle prescrizioni a tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Questo, ovviamente apre la porta a diversi scenari: non solo una corresponsabilità in caso di incidenti sul luogo di lavoro sia che riguardino la propria persona ma soprattutto se coinvolgono altri dipendenti e perfino terzi e, in secondo luogo, una inevitabile responsabilità disciplinare in caso di inosservanza degli obblighi dettati dalla normativa.
Il ricollocamento
o il ridimensionamento
del dipendente
D’altra parte, sempre il Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro stabilisce l’obbligo del datore di lavoro di ricollocare in mansioni equivalenti o anche ridimensionate tenendo conto delle residue abilità del dipendente qualora, per questi, sopraggiunga una inidoneità alla mansione per varie ragioni.
Pertanto una sopraggiunta inidoneità alla mansione (art. 42 D.Lgs. n. 81/2008), derivante dalla mancata vaccinazione del dipendente, come anche da altri fattori esterni, può giustificare il licenziamento solo se il datore di lavoro offre documentazione specifica che attesti la inidoneità e che prova di aver valutato correttamente la possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni compatibili.
È proprio basandosi su questa norma che il lavoratore, essendo inidoneo a qualsiasi attività perché potenzialmente infetto e, quindi, non ricollocabile ad altra mansione, può essere licenziato.
Sarebbe dunque possibile licenziare chi rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione contro la Covid19? Allo stato attuale e per quello che sono le leggi vigenti la risposta è no.
Un licenziamento del genere sarebbe illegittimo per una serie di ragioni: in primo luogo non esiste alcun obbligo di legge relativo alla vaccinazione contro la Covid19 e quindi non sarebbe in alcun modo giustificabile imporlo nei confronti dei lavoratori neppure con un accordo sindacale di secondo livello (in deroga, cioè al CCNL); in secondo luogo il vaccino deve ritenersi assolutamente efficace dunque indispensabile per evitare il contagio, ovvero deve risultare incontrovertibile che una volta vaccinato, il lavoratore non sia un portatore sano del virus.
L’efficacia
e l’indispensabilità
del vaccino
In relazione alla “efficacia” del vaccino, è bene ricordare che tali condizioni non possono sussistere essendo il vaccino in uso per il SarCov2 un farmaco mRNA messaggero sperimentale ad autorizzazione condizionata allo stato di emergenza ed è scientificamente consolidato il fatto che i soggetti vaccinati possono diffondere il virus.
In relazione invece alla “indispensabilità” del siero genico ricombinante questa non sussiste alla luce delle recenti Determine AIFA n.911 e 912 del 4 agosto 2021 concernenti l’introduzione delle cure monoclonali contro il virus SarsCov2.
Inoltre, nell’intraprendere la procedura di licenziamento, si deve tener in giusto conto che, come accade per le molte forme influenzali, la positività al virus riscontrata sul luogo di lavoro non equivale alla prova che il virus sia presente nei luoghi di lavoro, magari a causa del dipendente non vaccinato, infatti è probabile che il prestatore lo abbia contratto altrove o ne sia esso stesso portatore sano.
Alla luce di quanto esposto spero sia definitivamente chiaro, quindi, che un licenziamento del lavoratore non vaccinato erogato in queste condizioni normative e culturali - coinvolgenti cioè ambiti che spaziano dalla Costituzione alla sicurezza sui luoghi di lavoro - non può essere legittimo, e sarebbe persino ritorsivo per il datore di lavoro.