C’è la carica per gli ulivi quasi secolari a Piazza De Gasperi. Un vero e proprio luogo di architettura purtroppo abbastanza maltenuto e abbandonato. Stretto d’assedio da parcheggi neanche selvaggi ma pressanti, assillanti, che si stringono a cordolo di lamiera anche davanti alle comode e lunghe gradinate. Per cui l’importanza di una tra le più belle piazze contemporanee nel panorama dell’architettura italiana, piuttosto nata laddove insisteva uno spazio di risulta da sfruttare, un resto a stralcio di altre lottizzazioni, da tempo infruttuosamente nelle mani del suo primigenio proprietario, in realtà sembra ancora molto incompresa.
di Vito Barresi
Fatto sta che la bella piazza firmata all’inizio del 2000 dall’architetto Giuseppe Patanè continua a dar mostra di sé in quanto felice sintesi tra natura e architettura, pur in un quadro ambientale ed ecologico fortemente degradato di un quartiere, la via XXV Aprile, che voleva essere concepito e disegnato in quanto area residenziale del ceto impiegatizio e delle classi docenti della città, allora in rapida crescita demografica ed espansione urbana.
Noi si continua a credere a una certa magia dei luoghi locali. Alle preziose proprietà ambientali, climatiche di questo angolo del Mediterraneo. E per questo non dismettiamo la speranza che la città sia ovunque, al centro e in periferia, più ecologica, moderna e accogliente.
Sulla pista di cemento rosso che sembra terra lucidata dalle pioggia alcuni ragazzi non discutono certo di Le Corbusier e Jane Jacobs.
Ma farla così suggestivamente degradata fino al romantico non deve essere stato un lavoro di semplice scenografia. Costruire infrastrutture collettive vuol dire osservare, abilitare, comprendere il sociale, il suo linguaggio esterno/interno.
Non stare al centro della scena, magari, dietro le quinte. Cioè avere un rispetto, quasi una fedeltà, per tutte le forme in cui la vita urbana si sviluppa.
Ma molto spesso ci si trova interdetti dal generale fatalismo del “lascia che poi... si vedrà”, il “tanto non serve a niente” che soffoca il senso della collaborazione collettiva il tanto peggio che ti disarma e ti fa restare desolato di fronte all’incapacità di avere una diversa concezione della tutela dei nuovi e tanti beni architettonici pubblici, molto spesso di buona e ben alta qualità estetica, funzionale che in questi decenni hanno arricchito il patrimonio comunale e migliorato la qualità della vita.
In realtà il messaggio non è stato compreso. Forse, verrebbe da dire, per via di quella atavica superficialità amministrativa, sempre alle prese con i propri troppi impegni pregressi.
Anche se, urbanisticamente, sta di fatto che Piazza De Gasperi è diventata da subito qualcosa di altro, cioè un unicum architettonico che vive nel contesto anche se questo fa finta di niente, che quell’ingombro non esiste, presi dalla tentazione di demolirlo, spianare, fare un largo per le proprie autovetture esattamente come di fronte a un supermercato cinese.
Ecco perché il luogo ideato, progettato e realizzato dall’architetto Patanè è a suo modo un modello esemplare tra le piazze d’Italia.
Non era facile trasportare il sentimento estetico e il gusto culturale e spirituale di Mircea Eliade (Cosmologia e alchimia babilonesi), in una figura concreta messa a terra dopo averla disegnata e stampata su lucido, cioè il sontuoso simbolismo delle ziggurat, spazio sacro e reale delle culture arcaiche.
Piazza che spiazza “nelle misure” che se ne sono ricavate e in cui riesce a determinarsi visivamente una curiosa dimensione, non scontata e persino altra, della stessa percezione strafalciona di agorà, solito minestrone magnogreco, proponendosi nel suo raccolto silenzio per vera, riservata e pudica, immagine di città, un fotogramma live estratto da una Polaroid che stampa sul telefonino l’angolo di una qualsiasi metropoli del mondo globale.
Assemblando, quasi magicamente tutto intorno, la confusione semantica di un gioco di rimbalzo e prospettiva tra un parco intitolato a Pitagora, una “eccentrica” Chiesa Evangelica Cristiana, ben ordinata e frequentata dal “melting pot” di fedeli africani con la propria “Holy Bible” in mano; e poi l’ingresso del vicino Pronto Soccorso Ospedaliero intitolato al presbitero spagnolo Josemaria Escriverà de Balanguer, il fondatore dell’Opus Dei, chissà perché poi ben messo sul margine di un “buco nero” che si chiama Crotone.