Green pass tra origini e prospettive: salvagente dall’epidemia o “titolo abilitativo” per vivere e lavorare?

31 ottobre 2021, 08:30 Opinioni&Contributi

La gestione attuale della narrativa pandemica, o di quello che vuole essere chiamato “regime sanitario”, e specificatamente in questa ultima fase gestita dal governo Draghi, si innesta in un modello corrotto di travisamento neoliberale della democrazia che ha ormai una tradizione consolidata.


di Natale G. Calabretta

Sin dalla metà del 1975, infatti, con la relazione della “Trilateral Commission”, il problema che le democrazie moderne (di matrice socialista e socialdemocratica) hanno presentato per le “élites di stakeholders” soprattutto economiche finanziarie, è stato quello di gestire un eccesso di partecipazione: la democrazia, per sua natura, ha una “sciagurata tendenza”, secondo i liberali del “laissez faire”, a forme di populismo (idea nobile che va oltre la recente accezione negativa che il neoliberismo le ha voluto dare) consistenti nel fare tendenzialmente gli interessi dei più o addirittura dell’intero popolo e questo rappresenta un elemento di turbativa e preoccupazione per gli “interessi portati” delle élites economiche.

Pur tuttavia, in questi decenni, il contenimento di queste tendenze è avvenuto, da un lato attraverso il governo dell’apparato mediatico, il suo controllo e il suo condizionamento, e dall’altro attraverso una dissuasione della partecipazione.

In quest’ultimo caso, l’astensione alla partecipazione democratica provoca al contempo una delegittimazione della classe politica che impedisce allo stato neoliberale, democraticamente (ma minoritariamente) eletto, di agire con decisione e con forza.

Quindi, per venire incontro a queste istanze decisioniste, azzoppate dall’astensionismo, è emersa negli ultimi cinquanta anni la tendenza a limitare la rappresentanza democratica con, ad esempio, la sostituzione dei sistemi proporzionali con i sistemi maggioritari, con l’introduzione di soglie minime di accesso al Parlamento e simili.

Parallelamente e concordemente con questi interventi istituzionali, si è imposta una tecnica governativa, una governance, caratterizzata dal ricorso alla “emergenza”, all’idea di una minaccia inderogabile ed incombente come chiave per poter giustificare una verticalizzazione delle decisioni sottraendole, in questo modo, ai tempi del processo democratico.


La condizione di emergenza

fa abbassare il tasso critico

e liquida tutte le istanze

di partecipazione consapevole


Che si tratti di eventi naturali (terremoti o alluvioni, incendi e pandemie) o che si tratti di eventi politici o geopolitici (terrorismi rossi e neri, attentati islamici o mafiosi e crisi finanziaria o energetiche), una situazione di minaccia incombente appositamente alimentata dai media si presta ad essere una leva potentissima per consolidare qualunque esecutivo, anche non legittimato, e per affidare ad una minoranza opaca le decisioni che contano.

Questo procedimento, quindi, riesce a forzare le norme costituzionali e piegare le regole vigenti contando sul fatto che la condizione di emergenza e di urgenza fa abbassare il tasso critico e liquida tutte le istanze di partecipazione consapevole e di conoscenza partecipativa del processo politico come zavorre all’azione di governo, come formalismi inopportuni e come ostacoli all’inderogabile perseguimento del bene comune.

Tale modello di governo surrogato si è ripresentato nel 2020 con la drammatizzazione della emergenza pandemia ancora in corso di rappresentazione, e particolarmente nell’ultima fase di questi quasi due anni di governo sanitario, quando cioè l’emergenza pandemica cominciava oggettivamente a scemare anche per la narrazione falsificata, è subentrata una fortissima pressione al mantenimento e all’esacerbazione delle misure di controllo.

Invece di agire in modo strutturale, approntando un sistema sanitario capace di reggere l’urto di una eventuale altra (magari questa volta “vera”?) epidemia o le coreografiche ondate di questa ormai in via acclarata di endemizzazione, invece di investire su una sanità le cui capacità di intervento sono state smantellate negli ultimi decenni si è preferito adottare una strategia militare di vaccinazione indiscriminata e che non lascerà traccia nelle strutture del servizio sanitario nazionale e corroborata con l’applicazione dispotica di misure di controllo sociale attraverso un lascia passare (in stile militare, appunto) che legittimi “l’esistenza in vita” chiamato sciattamente “green pass”.


La sproporzione dello strumento

e il controllo come fine ultimo

della strumentalizzazione

della paura di massa


La sproporzione dello strumento ha immediatamente rivelato che il “green pass” è il fine e non il mezzo: il controllo come fine ultimo della becera strumentalizzazione della paura di massa.

Ecco giunti all’introduzione del “lascia passare” in una società libertaria; ecco, attraverso l’excursus fin qui descritto, come è stato possibile l’accettazione di una idea inaccettabile sin dalla sua l’origine concettuale, all’evoluzione storica, all’armamentario ideologico e alla strategia politica e il pericolosissimo significato politico che esiste dietro l’incostituzionale “lascia passare verde” che segna il punto più eclatante del processo di ritiro progressivo del fronte dei diritti democratici fin qui conquistati.

Il “green passha un significato politico e sociale profondissimo che la grande maggioranza degli italiani sciocchi o distratti, ignoranti o condizionati da false informazioni, collaborazionisti e delatori o ricattati non ha voluto o saputo capire accettandone senza reagire l’impronta psicologica che un tale rozzo strumento lascerà nel comportamento di tutti che, a prescindere della fine che farà l’attuale “green pass”, darà comunque la possibilità ad un prossimo regime o alla recrudescenza del presente, di avere la via spianata nella popolazione, nei suoi comportamenti e nelle reazioni di accettazione di un regime restrittivo delle libertà e di tutti i suoi strumenti coercitivi.

Il totalitarismo del regime neoliberale dei “portatori di interesse” (ormai tra noi) prepara alla cinesizzazione (comunismo capitalistico) delle genti nate libere poiché questo è il loro interesse: i pensieri degli italiani hanno smesso di essere istintivamente democratici e come tali hanno smesso di porre immediata resistenza alla limitazione delle libertà che fino ad ora è stata vissuta come condizione naturale ed inviolabile.

Il “green pass” diviene così un modo per estendere e mantenere lo spirito emergenziale, il senso di minaccia incipiente, e insieme un modo di far sottomettere volontariamente la popolazione ad un mezzo di controllo e di valutazione panottica della propria condotta: una sorta di cittadinanza condizionale alla buona condotta.

Di fatto la capacità di riconoscere e, spesso, di provocare e prolungare questi stati emergenziali e di utilizzarli a proprio beneficio è da molto tempo una componente distintiva della “governance capitalistica”.

Non è un caso, infatti, che la condizione emergenziale ha permesso ai settori più dematerializzati dell’economia, a partire dalla finanza, di mantenersi in sella migliorando la propria posizione comparativa, mentre chi viveva del proprio lavoro si è ritrovato sempre più spossessato, impotente, ristretto nelle proprie opzioni e condizioni, mentre nel nome dell’emergenza nessuna contestazione è possibile.


La spontanea consapevolezza

e la totale assenza della politica

che portano ad un rafforzato

sentimento populista


Davanti a queste clamorose asimmetrie, una parte vitale della popolazione percepisce che qui si gioca una partita molto più grande, sta capendo che dopo mesi di indifferenza nei propri confronti quest’improvvisa sollecitudine mirante ad una “sicurezza sanitaria assoluta” è una sceneggiata strumentale.

Sta capendo soprattutto che a quasi due anni dagli esordi, con diverse tecniche diagnostiche e cure oramai disponibili contro questo virus, continuare a comportarsi come se la Covid-19 fosse l’unico problema al mondo, cui tutti gli altri vanno subordinati e ammutoliti, è semplicemente una clamorosa manipolazione.

Questa spontanea consapevolezza e la totale assenza della politica portano ad un rafforzato sentimento populista che non è solo l’insieme delle istanze di un popolo che vive in condizioni di disagio ma anche, per istinto di sopravvivenza, la reazione stessa di parte del popolo a questo disagio: la razionalizzazione di una sofferenza che in prima istanza non riesce ad essere ben identificata, ed è così che la protesta nasce sul “dissenso intuitivo” della gente che scende in piazza, ovvero la percezione da parte di un ampio ma limitato numero di cittadini della crassa inadeguatezza delle motivazioni che dovrebbero giustificare l’introduzione della “certificazione verde”, strumento rivelatosi subito inconciliabile con nulla che sia sanitario quindi portatore di altri scopi ben più inquietanti e sovversivi oltre che giuridicamente insostenibili.

Ogni approfondimento di un civico pensiero critico sulle incongruenze delle azioni di governo e sulla rappresentazione pilotata della realtà a partire dalla farsa pandemica fino all’insulto del “green pass”, richiede tempo, motivazione, coraggio e capacità, caratteristiche tipiche di una minoranza di persone a differenza, invece, della strutturale maggioranza di chi si fida e si affida, per necessità di confortevole conformismo, alle voci ufficiali, alle verità pedagogiche preconfezionate dei media “mainstream” e dei resoconti delle autorità scientifiche nazionali, nonostante le massive contraddizioni dolose in cui incorrono quotidianamente.

A muovere, quindi, la protesa di questa minoritaria parte di italiani consapevoli è la chiara “percezione” - l’istinto di sopravvivenza populista - che la normativa confluita nell’istituzione del “green pass” è decisamente incongrua con gli effetti che dichiarava di voler ottenere, che è sproporzionata e discriminatoria e che alimenta un tipo di intervento sanitario (“il vaccino è l’unica salvezza”) imponendo un obbligo vaccinale surrettizio che è, per altro, dimostrabilmente sbagliato e controproducente poiché è ormai risaputo che la vaccinazione di massa riduce il processo naturale di endemizzazione del virus inducendone replicazioni e mutanti sempre più aggressive (ad es. Antia et al., “Transition to endemicity: Understanding COVID-19” - facilmente reperibile anche tradotto in italiano).


La “strategia della provocazione”

e il “lasciapassare” ponte per

un’estensione del controllo sociale


Ricordiamo che il “green pass” italiano viene proposto in un momento declinante della narrazione sulla pressione pandemica, in cui gli ospedali erano vuoti e in cui il 57% della popolazione si era già spontaneamente vaccinato.

Il gesto implicito nell’istituzione del “green pass” è dunque quello di anticipare una possibile nuova crisi e di provocare lo scontro sociale; tale schema di “provocazione” si è poi ripetuto pedissequamente anche durante i rari scontri tra manifestanti “no green pass” e forze dell’ordine.

In sostanza, all’interno della “strategia della provocazione”, il “green pass” opera come ponte per un’estensione del controllo sociale, come garanzia che anche in futuro e per altri governi, come si diceva prima, si possa tenere a catena corta ogni eventuale protesta sociale, ogni eventuale reminiscenza di libertà.

Il “green pass” è servito a inviare un messaggio univoco: il vaccino è l’unica via per la salvezza nazionale e chi vi si sottrae è un disertore e al lavoro - in una repubblica fondata sul lavoro - si può recare solo chi è accondiscendente.

Molti tra gli italiani più ingenui e ottimisti sperano che il “green pass” sia una misura temporanea, mirata al conseguimento di un obiettivo specifico.

Questa speranza sarebbe stata più solida se qualcuno avesse esplicitato quali sono le esatte condizioni sotto cui avremmo potuto togliere questo strumento: l’indeterminatezza in tal senso implica la totale arbitrarietà di chi comanda.

A fronte dell’idea di uno strumento per un obiettivo specifico ovviamente non sanitario, la domanda che bisogna porre è: quale obiettivo?

Certo non fermare il virus: infatti il “lascia passare verde” è uno strumento regolato con lucida prospettiva dal Ministero dell’Economia e Finanze.

Non è certo l’incentivo all’inoculazione vaccinale quello a cui mira il governo Draghi con l’istituzione del “green pass”, o del rilancio dell’economia che per definizione ha bisogno della libera - libera - circolazione di persone e merci.

Per quale obiettivo, quindi? Il controllo sociale e l’oppressione psicologica, fisica ed economica della popolazione.

In conclusione, l’unica ragione concreta per quanto fragile per cui il “green pass” possa restare una misura temporanea, salvandoci dal pericolo concreto dell’oppressione, è perché (e finché) c’è una significativa contestazione contro questa misura dittatoriale e distopica, una contestazione di una parte minoritaria della popolazione ma sufficiente a creare un costo economico e politico al mantenimento di questo sopruso.

Il giorno in cui tutti avessero deciso, per quieto vivere, di accettare la proditoria ingerenza di un governo attraverso un “titolo abilitativoa vivere e lavorare, come un “lascia passare”, si aprirebbe un’autostrada alla possibilità agghiacciante di estenderne in modo inimmaginabile le funzioni di controllo e di coercizione.

Sarà detto, al popolino spaventato e stanco, che è per il “bene” di tutti. Tutti, o quasi, crederanno.