Intervenendo a Diamante il Presidente Occhiuto ha toccato, con parole sue, un tema strategico, tutt’altro che indifferente alle questioni più specifiche della ripresa economica dopo la pandemia: quello della cultura e dell’identità regionale. La cultura, accanto a quello dell’istruzione e della formazione professionale, dovrebbe essere, nonostante tutto, un bene primario per una Regione come la Calabria che sta attraversando, in questi primi venti anni del nuovo secolo, una crisi d'identità culturale senza precedenti, con evidenti ricadute sul sentimento coesivo della popolazione, dello spirito del regionalismo e della comune appartenenza al patrimonio condiviso della storia e delle tradizioni calabresi.
di Vito Barresi
La riflessione di Occhiuto è utile per quanto discutibile, nella misura in cui appare probabilmente dettata dalla fretta impressa da un successo elettorale che sollecita risposte immediate, laddove egli afferma che “il mio governo darà grande importanza ad uno sviluppo culturale che necessita di investire sui distretti turistici culturali con piani di marketing territoriali che possono essere motore di sviluppo per tutta la Calabria”.
In realtà a me pare che di fronte a una crisi mondiale - tanto più acuta in quella che l’indimenticabile Pasquale Falco, uomo colto, editore attento, calabrese autentico, definiva una “Periferia” come la Calabria - in cui si è rotto l’incantesimo di un’infinita crescita, la magia superstiziosa in un’età del benessere e del progresso, specialmente in questa piccola regione, spesso ridotta a un ritaglio di geografia nazionale, più che di politiche di marketing, si avverte il bisogno, la necessità urgente di un nuovo progetto culturale regionalista, tale da richiedere inedite intelligenze, aperte e capaci di salvaguardare le identità culturali territoriali, con sapienza e progettualità, utilizzando le idee e gli strumenti del sapere e del saper fare, con innovazione e saggezza, rompendo con le logiche clientelari del passato.
Purtroppo sappiamo per certo che il deficit culturale dei calabresi, se pur non è un fatto inedito nella storia di lunga durata di questa terra, non è, comunque, la stessa cosa del passato.
La Calabria resta ampiamente una regione perpetuamente sospesa tra quadri biblici e orribili menzogne.
Una terra che aspetta un Messia, un’annunciazione che la riporti non al futuro e all’attualità ma a un vagheggiato, bucolico, agreste, “statu quo ante” o, come molto retoricamente e ampollosamente poetava Leonida Repaci, un eden mediterraneo, l’europaradiso di nefasto ricordo, che poi si risolve nel folklore di una ragionevolmente impossibile pace sociale tra l’intellettuale divenuto colletto bianco e il contadino trasformato in impresario agrituristico, che ballano la tarantella e alla fine scoprono di essere stati turlupinati ancora una volta dal solito politico scaltro e opportunista.
Faccia, dunque, attenzione il Presidente Occhiuto a proporre magari quel che sono soltanto pezzi di seconda mano, anche un po' 'depassè', vecchi moduli lineari di marketing industriale perché, come lui ben conosce, la cultura non è un prodotto da scaffale, da promozione all’Iper, ma un bene d’eccellenza, di alta qualità e straordinaria attrazione semantica, una nicchia eco-bio-naturale e storico culturale di delicata bellezza e raffinata complessità.
Tale che, se non ci si potrà certo rassegnare a ridurre la Calabria a una discarica, talvolta anche abusiva, sull’onda di tante iniziative a pioggia nel settore del patrimonio culturale e dell’immagine cinematografica e mass-mediale (vedi svariate “Commissioni” cinematografiche, compresa l’attuale), di momenti e imprese che vendono la mercanzia della propria industria subculturale, il punto sta proprio nell’opzione alta di dotare la Calabria, alacremente e proficuamente, di una nuova politica culturale regionale di respiro europeo. E mediterraneo.