L’aumento dell’intensità delle piogge e conseguenti disservizi o danni non sembrano generare un dibattito che vada oltre alla mera richiesta di pulizia dei chiusini stradali. Eppure le criticità in città non mancano, a partire dai numerosi muri crollati negli ultimi anni.
di Francesco Placco
La recente frana avvenuta tra Castelsilano e San Giovanni (LEGGI) tiene ancora bloccato il transito lungo la Statale 107. I tempi per la riapertura della strada sono incerti, ed i lavori per rimuovere il fango ed i detriti e rimettere tutto in sicurezza proseguono.
E dovrebbe rappresentare un campanello di allarme, che ci dimostra il disservizio provocato dall’incuria, dal mancato controllo sul territorio e dal disinteresse per le tematiche ambientali: una su tutte, il famigerato dissesto idrogeologico.
Non è un problema nuovo, anzi, sopratutto in Italia rappresenta una tematica storica e ben conosciuta, che si allaccia direttamente all’abusivismo edilizio ed anche al consumo indiscriminato del suolo. Ma ecco che, arrivati a questo punto del discorso, si è soliti fare spallucce: l’abuso ormai c’è stato, interi lotti sono stati costruiti. Come se questa fosse una scusa per giustificare la mancanza di controlli.
Controlli che dovrebbero essere effettuati sopratutto sulle opere di contenimento del terreno, ma che raramente vengono svolti anche a fronte di muri vecchi o visibilmente malandati.
Ed è grave, sopratutto dopo una frana come quella degli ultimi giorni, che l’occasione non serva per fare un po’ il punto della situazione, sopratutto in una città come Crotone, dove con i muri di contenimento esiste un rapporto che potremmo definire complicato.
Prendendo a riferimento solo gli ultimi vent’anni, nell’area urbana della città si sono verificati diversi crolli importanti: nel 2007 quello in Via Calipari (LEGGI); nel 2008 quello su Corso Mazzini, discesa San Domenico (LEGGI); nel 2009 quello in Via Poggio Reale (LEGGI); nel 2011 quello in Via Poseidonia (LEGGI); nel 2016 quello in Via Sybaris (LEGGI); nel 2018 quello su Corso Matteotti, ma anche quello costato la vita a tre operai su Viale Magna Grecia (LEGGI). Senza contare tutti gli avvenimenti “minori”, e le numerose segnalazioni di numerosi cittadini preoccupati in diversi quartieri della città.
Indicativa dell’assenza di controlli (o potremmo dire di interesse), d’altronde, è proprio l’area soprastante Via Nicola Calipari: sebbene il muro di contenimento a livello stradale sia stato ripristinato (per ben due volte), quello posto al di sopra giace ancora a terra. Quella che dovrebbe essere un’area verde, una sorta di piazzetta con percorsi e panchine, è ancora oggi inagibile a distanza di anni dal crollo.
Un doppio pericolo, non solo perché il pesante blocco di cemento armato potrebbe scivolare giù, ma anche perché l’assenza di una parte del muro di contenimento consente una notevole fuoriuscita di acqua e terra, che oltre a rendere inagibile l’area contribuisce ad appesantire ancor di più il carico sorretto dal muro sottostante.
Il rischio, in questi casi, è di finire incartati nelle “competenze” tra ente e costruttori, tra richieste evase e mai eseguite, tra comunicazioni inoltrate ma mai ricevute. Situazioni che generano l’incuria che vediamo tutti i giorni, ed alle quali siamo abituati a vederci rispondere spallucce.
Ma se non ci pensa il Comune a far rispettare il ripristino dei luoghi pericolanti, come in questo caso, chi dovrebbe pensarci? Se c’è un luogo della città – tanto in centro quanto in periferia – non solo in stato di abbandono cronico, ma in condizione di danneggiare nuovamente un’opera recentemente ricostruita, mettendo a rischio l’incolumità dei residenti e, potenzialmente, degli alunni della vicina scuola, non dovrebbe essere una priorità da risanare?
Ma sopratutto: se non ci pensa il Comune a designare le aree di pericolo, a "mappare" i muri crollati o pericolanti, ad interessarsi a quelle opere di contenimento spesso costruire anche mezzo secolo fa, chi dovrebbe farlo?
Domande quasi retoriche, che meriterebbero la giusta attenzione da parte di un’amministrazione che si è contrassegnata con il marchio del “cambiamento”.