La guerra è un pesante costo per l’economia europea, americana, occidentale. Ma anche un pantagruelico spreco di risorse per quella russa, orientale, asiatica, africana. La guerra impone a tutto il sistema della convivenza planetaria la sua ferrea 'irrazionalità' che nulla lascia al termine delle distruzioni se non sofferenze, dolore e rancori. Ma attenzione, che poi oggi è questa la posta in gioco, essa determina la nuova forma della pace futura, ne sagoma i codici economici, le norme e i trattati che regolano le relazioni internazionali, stabilisce gli standard monetari e finanziari, il livello degli scambi commerciali e il discorso pubblico prevalente nelle comunicazioni di massa, per non dire delle regole di sicurezza militare e le sfere d’influenza geografica. In breve sviluppa un nuovo ordine mondiale post bellico, una pace sul breve e medio periodo per i vinti, il potere e l’egemonia per i vincitori.
di Vito Barresi*
La guerra è onnivora, più che mai questa in Ucraina, mangia tutto, dalla disinformazione alla menzogna, dal raggiro al tradimento. Ecco perché, come ha detto ossessivamente qualcuno dei belligeranti, c'è bisogno di soldi, miliardi e miliardi per comprare armi di ogni tipo, sostenere l'impressionante stabilimento della battaglia. Un bisogno a tal punto vorace da mettere a rischio solide ricchezze e stabili equilibri economici di stati e paesi, bruciando immense risorse, sia in termini di vite umane che di denaro.
Anche adesso, come nel passato, il suo impatto rischia di essere severo e grave come fu in altre epoche, tanto da provocare bancarotte in Spagna in Turchia, quando necessitavano colossali somme di denaro e monete d'oro per le flotte che divorano crediti e rifornimenti, nondimeno dei costosissimi eserciti terrestri, per non dire oggi delle pattuglie aeree, delle batterie missilistiche e dei droni, dei drappelli spionistici, dei consulenti strategici e tattici.
Nella prospettiva storica appare netta ed evidente la stretta correlazione tra la guerra e l’economia.
Serve in tempi eccezionali l'elaborazione e la decisione di una ciclopica manovra finanziaria, necessaria a garantire il successo dell’impresa, quel che un tempo era retoricamente l’oro alla patria e il contributo statale con tasse e balzelli per sostenere spese e debiti di guerra.
E poi il controllo del regime e del flusso delle entrate pubbliche, insomma i finanziamenti necessari per pagare l’industria degli armamenti, rimpinguare i tesori dei pescecani, sempre a caccia di ultra profitti da nascondere nelle casse dei guerrafondai.
Inoltre la moneta circolante serve per lo stipendio ai militari, il salario alle reclute, l’approvvigionamento alimentare delle truppe, la logistica per far muovere i battaglioni e i contingenti, persino l’occorrente della gavetta quotidiana per il rancio e la pulizia personale, per lavare le uniformi dei soldati, pagare gli emolumenti milionari ai generali di corpo d’armata, agli ammiragli della marina e ai piloti dell'aeronautica, agli ufficiali di ogni grado, ai reduci di guerra e ai morti in battaglia.
Ecco perchè la guerra richiede una mobilitazione impressionante di apparati e strutture, l’allestimento di nuove macchine burocratiche e la definizione di ulteriori procedure burocratiche, a tal punto da mettere in moto una profonda trasformazione delle democrazie, (si veda già la discussione accesa per infrangere la clausola dell'unanimità tra i paesi che fanno parte dell'Unione Europea).
Dunque, un cambiamento del clima e degli atteggiamenti della politica, un diverso tono nella comunicazione di massa, la trasformazione di alcuni tratti ordinari e 'pacifici' della psicologia sociale e dei comportamenti dei cittadini.
Tutta l’amministrazione pubblica si registra sul respiro della manovra finanziaria bellica, marcata a ferro e a fuoco dai bollettini del fronte, in un susseguirsi meccanico di decisioni e scelte perentorie, che finiscono per influire inesorabilmente, ma non impercettibilmente, sul modello sociale, politico ed economico che sarà determinato e ‘restaurato' con il ritorno alla pace.
Se, come osservava Rabelais,“una guerra fatta senza buona provvista di soldi sarà sempre col fiato corto”, ciò è perchè, molto verosimilmente, “i nervi delle battaglie sono i denari”.
Al grido di armi, armi, armi... corrisponde automaticamente quello di soldi, soldi, soldi...
Questo per capire quanto sta accadendo nelle segreterie di stato e nei palazzi della finanza globale, dove è in corso, febbrile e convulso, un lavorio non stop nelle sedi ovattate dei centri nevralgici e decisionali, nei grattacieli monetari, nelle casseforti blindate come carri armati con la esse sbarrata del dollaro, in cui si conservano i lingotti d’oro, le riserve auree, nei luoghi strategici dove si tracciano le linee della prossima evoluzione economica e finanziaria del mondo attuale.
Quello che saremo dopo questo shock è il mantra di tutti i potenti della Terra che hanno come unico obiettivo rimodulare, tarare e sintonizzare l’intero assetto finanziario dell’economia occidentale, a ogni livello operativo, bancario, monetario, fiscale, industriale e politico.
E’ per far tornare i conti (che forse non tornano tanto semplicemente) della guerra, mettendoli in linea con quelli della pace, Mario Draghi è stato chiamato a consulto dalla Casa Bianca, essendo egli prima di tutto il più importante banchiere del mondo.
Solo poi, molto poi, un economista, un accademico, un dirigente pubblico, un politico italiano e, 'last but no least’, anche il Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana nella convinzione (non sappiamo quanto condivisa dagli americani) che, sono sue parole, “la ricerca della pace è la priorità e l'inasprimento delle sanzioni ha l'obiettivo di portare Vladimir Putin il prima possibile a un cessate il fuoco e poi al tavolo della trattativa."
Sì, perchè in fondo è, altrimenti vero, che la guerra, ogni guerra storica, a meno che non sia già da tempo diventata una 'guerra metafisica', finisce sempre per mostrare la sua intrinseca contraddizione, ossia negare se stessa, l’essenza arrogante della sua ‘geometrica potenza’, nella misura in cui è inesorabilmente destinata a concludersi con una nuova pace, per quanto fragile e traballante, ultima soluzione alla sua scottante disumanità.
*storico sociale e delle identità culturali