Se ne andato Raffaele La Capria. Era un pizzico ma proprio ‘nu tantillu’ cotronese per via di mamma, che era del ceppo Berlingieri ramo di don Giulio, famoso per i suoi cavalli a San Siro e i Palizzi appesi nel suo salone di ricevimento. Tanto che la memoria non l’ingannava e una sera volle che lo portassi davanti a quei diroccati resti in piazza Umberto, tra fasti e nefasti storici, dall’Hotel Capitol all’abbandono recente. C’era stato da bambino e per lui Cotrone era quella citazione ‘flaneur’ particolarmente efficace per l’ouverture del suo bellissimo ‘Ultimi viaggi nell’Italia Perduta’ nell’edizione pocket di Avagliano.
di Vito Barresi
Per me quell’edizione del Premio Crotone, reinventato con successo sulle ceneri delle fulgide edizioni in bianco e nero di Giacomo Debenedetti e Silvio Messinetti, fu un'edizione difficile ma indimenticabile che con Carmine Talarico, Antonio Debenedetti e Cesare Pitto riuscimmo a portare in grande compimento, nonostante tutto, dopo George Steiner e Gore Vidal. Ve ne offro a seguire uno speach che spero leggerete con curiosità.
Quelli dell’inizio del Duemila furono tempi speciali per la televisione. Ascese e cadute d'ascolto, terrorismo e guerra: come un alone planetario l'ansia si specchiava sul fondo dei nostri teleschermi. Una straordinaria conversazione. Si può definire così il dialogo senza rete che ha avuto luogo nel tardo pomeriggio di un sabato autunnale, in un albergo sulla costa jonica calabrese. C'erano lo scrittore Raffaele La Capria, il critico letterario Antonio Debenedetti e Franco Matteucci, a quell’epoca regista del più ascoltato talk-show meridiano d'Italia, "UnoMattina".
Il filo conduttore? Una parola semplice: orizzonte. Visto dall'angolatura di un grande "albergo-oblò", l'orizzonte è un concreto segmento di Mediterraneo. Stava davanti a noi, allargava la nostra mente, incorniciava i pensieri nel suo schermo marino in perenne movimento. Con una forma che non segue finzioni ma colpisce il riflesso di Raffaele La Capria che osservò: più che Conrad è Melville che rimbalza nel mio sguardo, occhi aperti verso la tavolozza di guizzi bianchi e pennellate blu cobalto. Con senile e leggera lentezza si chiede ad alta voce cos'è per noi oggi l'orizzonte.
Forse una linea sfuggente, un punto astratto, il segno di una libertà che il lavorio dell'oltre rende fragile ed eterno. L'orizzonte è l'espansione geometrica del senso che legge, una vista sempre più oppressa dal dominio micronico e palmare dei nuovi media. Occhiali, monitor, schermi, televisione, cinema, computer: tutti gli oggetti della nostra vita quotidiana cospirano contro il gusto e il gioco dell'orizzonte. Ogni giorno per milioni d'italiani l'unico orizzonte sperimentabile e possibile è la televisione.
Antonio Debenedetti ci vide una linea che lega cultura e televisione, letteratura e attualità, testo e fiction. Per lui è indubbio che la televisione italiana ha bisogno di un rinnovamento all'insegna della più alta cultura europea e mediterranea. Servono nuovi protagonisti. Ci vogliono figure autentiche, estratte da una élites di non allineati, dal vivarium di personalità d'insospettabile tradizione culturale, alto profilo morale.
Debenedetti guarda con curiosità e attenzione all'avventura dei satelliti, all'intreccio tra cultura, attualità e tecnologie avanzate. Lui pensa che il satellite potrebbe proporsi, al di là del muro dell'auditel, come un interporto al servizio di un bacino d'ascolto culturale che le statistiche quantificano oscillante tra 1 e 2 milioni di telespettatori.
E' vero, la tv sta sempre più configurandosi come una nave spaziale. Le nuove tecnologie hanno cancellato le vecchie mappe cognitive, travolgendo gli schemi concettuali del passato. L'avventura dei satelliti sposta in alto e in avanti la linea d'orizzonte, sia dei produttori che dei fruitori del media.
L'epoca televisiva contemporanea assumeva i tratti di un' immensa solitudine, fuori fuoco: "ci sentiamo in guerra - osserva ancora Debenedetti - perché la televisione distribuisce supplementi quotidiani di paura. La verità è che anche per la televisione è finita l'età dell'innocenza. Il crollo delle Twin Tower ha cambiato tutto. E' come se la replica infinita di quell'esplosione avvenisse ogni volta che cambiamo canale."
Il futuro del futuro sarà nella "sideral-tv"? Un video ultrapiatto, una televisione senza orpelli né inutili decorazioni, un mero catalogo mediale? Per Franco Matteucci - cuore pulsante di una "reality-tv" che si compone nel palinsesto giornaliero di "Uno Mattina" - la televisione del presente esprime se stessa nella circolarità del suo "moto perpetuo".
La tv é una fabbrica complessa che riproduce realtà e immaginario, il macchinismo di un'utopia possibile che confeziona le convergenze tra tecnologia e pensiero. La sofisticazione produttiva dell'industria televisiva è giunta fino al punto di manipolare le gradazioni della percezione del colore, sollecitando l'iride dei telespettatori, emanando stimoli che catturano la risposta nel nostro sguardo.
Matteucci e Debenedetti si dichiarano d'accordo sull'utilità di una tv più adulta, più colta, più adeguata alle sfide culturali del nostro tempo. Tra la terra e il cielo, la tv globale rischia di cadere nel pozzo dei mutanti, trasformandosi in un 'divergent media'.
Un luogo senza orizzonte, il campo indefinito dell'extraterritorialità sociale. E' evidente quanto questo scostamento sia sempre più marcato a tal punto che la televisione del primo dopoguerra globale dovrà ritrovare se stessa ripartendo da una valorizzazione dell'identità culturali molteplici.
E' questa una 'chances' per sottrarsi a un destino altrimenti prevedibile: ridursi ad essere un zoo di vetro senza contatto con il mondo reale in cui vivono i telespettatori.